Il 25 ottobre, alle ore 19, Camera – Centro Italiano per la Fotografia – ospita la presentazione del libro CINES DE CUBA della fotografa Carolina Sandretto, introdotta dalla critica Laura Cherubini. Con CINES DE CUBA Carolina compie un viaggio straordinario indagando il fortissimo legame del popolo cubano con la cultura cinematografica
Il volume, uscito per i tipi di Skira, consta di ben 349 pagine in grande formato: un prodotto editoriale prezioso, come si percepisce già da un primo contatto visivo, particolarmente curato nella resa delle singole fotografie, pagina per pagina, grazie al lavoro attento dell’autrice e di Paola Gribaudo, che lo ha supervisionato, mentre il progetto grafico è delle designer Faconti & Richer di New York .
Le fotografie, organizzate intelligentemente secondo l’andamento del viaggio fisico compiuto da Carolina, a partire dall’Havana a Santiago e ritorno, sono introdotte da un testo dell’autrice e dai contributi di due noti intellettuali cubani, la scrittrice Grettel Jiménez-Singer e l’artista Carlos Garaicoa, protagonista della prossima mostra Carlos Garaicoa. El Palacio de las Tres Historias, che inaugurerà il prossimo 30 ottobre alla Fondazione Merz.
Al lavoro di Carolina il celebre artista ha dedicato parole particolarmente sentite: “Se il mio lavoro si è dedicato all’architettura dei cinema per svelare il punto di rottura che ha dato inizio alla censura politica dell’arte, Carolina Sandretto analizza, con lo sguardo oggettivo della documentazione, l’immensità e l’importanza di questo soggetto, nientemeno che la nascita, l’evoluzione e il declino dei cinema nell’intera isola. Bellezza e abbandono che, come una metafora della fragilità dell’immagine, sono una testimonianza di come le città contemporanee si trasformino e soccombano a una schiacciante violenza su abitudini che pensavamo radicate per sempre”.
Carolina è andata pazientemente alla ricerca delle oltre 600 sale cinematografiche che l’intera isola contava negli anni ’60. Il cinema è entrato nella vita e nell’immaginario dei cubani negli anni del boom economico precedenti la Rivoluzione per poi subire un declino nei decenni a venire. Oggi ne restano attivi solo 19, mentre la maggior parte sono stati abbandonati o convertiti in sedi teatrali e di compagnie di danza.
Perché questa ricerca, perché Cuba?
L’interesse per Cuba è nato nel 2009 quando sono stata in viaggio sull’isola con una delle mie mentori, Nevada Wier, fotografa americana della National Geographic; ho trovato molti spunti di riflessione, essendo Cuba, come è noto, un luogo unico nel suo genere, non avendo subito radicali cambiamenti negli ultimi 50 anni.
Ho incominciato ad esplorare la società cubana da diversi punti di vista sviluppando alcuni assi di ricerca, a partire dalla tema della famiglia, e, in particolare, sul fatto che le famiglie vivano insieme dividendo lo stesso spazio, spesso un’unica stanza. Un secondo asse di studio è stato sui desideri dei giovani, ho realizzato una serie di interviste video sulle loro aspettative sul futuro; infine mi sono interessata al tema dei cinema, che è stato sviluppato in questo libro.
Come è nato l’interesse per questo specifico argomento?
Un giorno ho visto passare due signore con un ombrello bianco e una ragazzo che si recavano verso un piccolo cinema, e ho scattato una fotografia. Di lì mi sono documentata e, pur nella difficoltà di reperire informazioni, ho saputo che è sull’isola è perfettamente normale che ci sia un cinema per ogni singolo paese. Ho quindi calcolato che dovevano esserci in totale tra i 600 e gli 800 cinema!
Poi ho avuto la fortuna di scovare in un mercatino dell’usato un piccolo libro, l’Anuario Cinematografico y Radial Cubano, edito dalle case di produzioni americane e italiane sino al 1958, testo che contiene tutto l’elenco dei cinema, quanti posti possono contenere, e tutti i paesi dove erano ubicati. L’ho preso come un preciso segno del destino grazie al libro ho potuto dare avvio al progetto, decidendo di fotografare tutti quelli ancora esistenti.
Quanto tempo ci è voluto?
Circa quattro anni, anche perché gli spostamenti sull’isola sono difficoltosi: è stata una grande avventura. Da subito, ancora prima di pubblicare il libro, avevo in mente un progetto per internet, che si troverà su www.cinesdecuba.com, una mappa di Cuba sulla quale ho evidenziato i cinema con delle piccole stelle interattive; cliccando sopra si avrà la possibilità di scoprirne le immagini, i dettagli, la storia. Il progetto del libro che sto presentando in questi giorni è arrivato in un secondo tempo: essendo tantissime fotografie avevo necessità di un “contenitore” che mi permettesse di mostrarle tutte e che fosse agevole da consultare.
Quale strumento hai usato?
Ho deciso di usare un medium molto specifico, una macchina fotografica di medio formato con rullini degli anni ’60. Cuba è un luogo con dei tempi dilatati, in cui non è spesso facile vivere: per un esterno invece è molto facile andare sull’isola, scattare foto in digitale di quel che piace. Se si procede molto in fretta, tuttavia, non si ha la possibilità di adeguarsi al reale “ritmo di vita” dell’isola, cogliendone appieno i dettagli. Mi sembrava molto più rispettoso rallentare il “mio” ritmo imponendomi anche delle difficoltà tecniche e conformandolo a quello che è la realtà del luogo. Per esempio a volte era estremamente complessa anche solo la fase preparatoria, capire chi poteva aprirti il cinema, chi possedeva le chiavi, aspettare che arrivasse…
Quindi hai “scoperto” i risultati delle tue foto solo al momento della stampa…
Assolutamente, a rullino sviluppato andavo alla ricerca della mia foto “preferita”, a cui magari temevo di più, e che talvolta non era come mi aspettavo; tuttavia ho accettato questo rischio come parte del percorso: grazie a questo processo ci sono delle fotografie che si sono rilevate più interessanti del previsto, con dettagli che sul momento non avevo notato.
Come hai vissuto personalmente e umanamente questo progetto?
E’ stato un percorso molto più complesso di quanto avessi immaginato, per esempio le campagne fuori l’Avana una volta erano il fulcro dell’economia di tutto il paese e oggi vivono in uno stato di completo abbandono; le persone, seguendo un processo comune a tutto il pianeta, si sono delocalizzate all’interno o nelle periferie delle grandi città: questo lo si capisce molto bene perché lì i cinema, ormai vuoti e desolati, sono grandi, ricchi, adatti a contenere migliaia di persone che oggi non ci sono più.
In questo caso si sono dunque rivelati essere spie di un paese che andato cambiando nel tempo in modo radicale. Personalmente ho mantenuto un approccio documetale: desideravo mostrare l’enorme tesoro che questo paese ha e che è stato, per tutta una serie di ragioni, lasciato invecchiare senza grande cura.
Quanti di questi sono ancora oggi in funzione?
Più o meno una ventina, il grande problema è stato il passaggio al digitale, poiché per molti è stato impossibile adeguarsi alle nuove tecnologie, sia per i costi alti sia per la scarsa reperibilità. All’Havana, che un tempo aveva più sale di Parigi e di New York, ci sono i cinema architettonicamente più elaborati, ma se ne trovano altrettanti in giro per l’isola, come degli anfiteatri all’aperto o edifici incredibilmente opulenti per essere nel mezzo della campagna. L’opulenza è comunque distribuita, così come le bizzarrie: all’Havana c’era il Majestic che aveva, (nel 1911!) un soffitto che si scarrucolava manualmente per lasciare entrare l’aria e far uscire il fumo!
Quando nasce la tua passione per la fotografia?
Il mio interesse per la fotografia nasce da giovanissima, da quando avevo 12 anni; nel 2012/2013 ho frequentato la scuola ICP International Center of Photography di New York focalizzandomi sull’aspetto più documentaristico. Quest’anno è uscito Cines de Cuba, il prossimo anno Vivir Con, edito da Power House, che è il progetto sulle famiglie; alcune opere di Cines de Cuba sono ora esposte in una mostra collettiva CUBA IS all’Annenberg Space for Photography di Los Angeles, mostra che sottolinea le importanti e indiscutibile relazioni tra gli Stati Uniti e il Sud America.
Quali prossimi progetti?
Sono molto focalizzata sulle problematiche del cambiamento climatico: una bella sfida perché non è facile mostrarlo, ma è una sfida che voglio raccogliere. Credo che siano i progetti a scegliere le persone e non viceversa, credo nell’investitura: ma per questo bisogna coltivare una forte sensibilità verso tutti gli stimoli che provengono dall’esterno.
Un episodio curioso che ti è capitato durante questi anni?
Sono stata arrestata un paio di volte, una volta in un piccolo paesino: stavo fotografando il cinema ma il poliziotto pensava stessi inquadrando il palazzo subito in prossimità, sede del partito, che è vietatissimo! Io comunque sono rimasta sempre all’interno della legge, ho sempre chiesto il permesso per scattare le fotografie.
C’è una foto a cui sei più legata?
La fotografia che ritrae l’esterno del bellissimo cinema Riviera, che è uno dei pochi ancora in attività, e che quindi è stato più difficile da fotografare per motivi di sicurezza: l’elemento che più mi incuriosisce di questa foto, tuttavia, è la ragazza che aspetta all’esterno: mi chiedo spesso se è uscita o deve entrare, se aspetta un fidanzato ritardatario o un amore che forse non arriverà mai.