Recentemente è stato ristampato in DVD da Feltrinelli C’è Musica & Musica, documentario in 12 puntate che Luciano Berio realizzò nel 1972 per la RAI, documento straordinario per rendersi conto della musica contemporanea di allora (e di quanto sia cambiata oggi). Boulez vi appare di frequente, e risponde alle domande sulla musica in modo articolato e razionale, come al suo solito. Ma quando, all’ultima puntata, il discorso si fa un po’ più frivolo, ecco la reazione:
Vittoria Ottolenghi: Qual è il suo compositore preferito?
Pierre Boulez: Non ne ho.
Vittoria Ottolenghi: Posso chiederle che cos’è che detesta di più?
Pierre Boulez: No, trovo che non ha senso.
Luciano Berio: Q come qualità. Qual è la qualità che preferisci nell’uomo?
Pierre Boulez: Mi rifiuto di ridurre una domanda a una risposta, trovo che non ha senso.
Luciano Berio: E come eroe. Qual è il tuo eroe preferito?
Pierre Boulez: E’ difficile dirlo, non riesco a rispondere con un nome solo, e neanche con due.
Luciano Berio: C come colore. Qual è il tuo colore preferito?
Pierre Boulez: E’ una domanda a cui non posso assolutamente rispondere. Consideratela pure una testimonianza: non sono in grado di dire quale sia il colore che preferisco.
Mi sono chiesto come festeggiare il compleanno di questo grande compositore, direttore d’orchestra, saggista, organizzatore. La mia vita di musicista è piena di suoi ricordi, quindi ho pensato di condividerne alcuni, molti legati alla nostra città, e di scriverli come sono i ricordi, difficili da ordinare nel tempo, alcuni sbiaditi, alcuni forse sbagliati.
Il primo disco suo che ho acquistato: Händel, Musica sull’acqua, CBS (oggi Sony). Con strumenti moderni, ma erano gli anni ’70 e si usava così. La mia adolescenza da alfiere della musica contemporanea: gli estenuanti ascolti della durissima Seconda Sonata per pianoforte nell’esecuzione di Maurizio Pollini. Le sue tre(!) incisioni di un capolavoro dell’espressionismo, il Pierrot Lunaire di Schoenberg. Ma erano tre tanti anni fa, quando studiavo per la prima volta il brano. Ora saranno di più.
Al Regio di Torino, quando ha diretto la London Symphony Orchestra nel Mandarino Meraviglioso di Bartók.
Le sue frequenti presenze a Settembre Musica (oggi MiTo), dirigendo la propria musica (che fortunatamente col passare degli anni ha perso gli spigoli e acquistato in immediatezza) con il suo Ensemble Intercontemporain.
Quella conferenza al Teatro Carignano, tutta in francese senza interprete “Perchè parlo italiano come una mucca svizzera”.
Quando ha vinto per due volte il premio Psacaropulo di Torino per la migliore novità musicale eseguita in città, che è sempre venuto a ritirare personalmente eseguendo nuovamente la composizione premiata.
Quando cercavo di leggere in treno il suo Pensare la musica oggi, e mi addormentavo in continuazione sul libro tra i sorrisi degli altri passeggeri dello scompartimento, come se conoscessero tutti la difficoltà del testo. Mi ricordo solo questa frase: Bisognerà evitare gli intervalli di quinta e di ottava, per non cadere in un nonsense strutturale.
Le sue incisioni di Ravel e Debussy. Il suo gesto da direttore asciutto, razionale e senza enfasi, che paradossalmente funziona a meraviglia anche per il repertorio più romantico. La Passacaglia op.1 di Anton Webern. Anzi, l’opera omnia di Webern incisa non una volta, ma due.
La sua Sesta di Mahler!
Quando fu arrestato in Svizzera come possibile terrorista e si scoprì che era stato inserito molto tempo prima in qualche lista dei servizi segreti a causa delle sue dichiarazioni d’avanguardia sulla musica. Lista che fu rispolverata dopo l’11 settembre.
Quando (pochi giorni fa) ho voluto colmare una lacuna e ascoltare per la prima volta i Gurre-Lieder di Schoenberg. Ho cercato su Spotify, e ho fatto partire la prima versione che ho trovato, diretta da un direttore di grande fama. Dopo cinque minuti, pur non conoscendo il brano, qualcosa non tornava.
Aspetta un momento, vediamo se c’è quella di Boulez.
Sì, eccola.
Di colpo, il suono giusto.
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