Ormai si sono dissolti gli echi delle note provenienti dal Palco di Piazza San Giovanni a Roma, il palco del Primo Maggio, dove band dopo band, pezzo dopo pezzo, pop dopo rock, accordi e disaccordi, hanno celebrato i diritti dei lavoratori di fronte a centinaia di migliaia di giovani e non.
Quanti di loro, però, vestivano, spizzicavano e sfoggiavano, ignari e complici, non la moda e la cultura della loro generazione, non il look o il maquillage più adeguato alla propria espressione artistica, ma una delle vergogne più ignorate di tutta la società dei consumi: lo sfruttamento lavorativo. Abiti, non solo ma soprattutto, macchiati dai soprusi, dagli sfruttamenti, dalla fatica e dal sangue di persone che non si conoscono ma che vorrebbero continuare a lavorare, vivere e sognare mentre l’ ambizione dell’apparire di molti li condanna a lavorare da schiavi.
2012 in Pakistan, 2013 in Bangladesh ed in Italia, a Prato; sono solo gli ultimi fatti in ordine di tempo, quelli che hanno occupato più spazio sui giornali.
Non ci vuole tanto a capire che è urgente intervenire, che non è più possibile continuare a far finta di niente girando la faccia dall’altra parte.
Per questo, MAIS (Movimento per l’Autosviluppo, l’Interscambio e la Solidarietà), ong impegnata dal 1990 a favore dell’uguaglianza sociale ed economica, ha da poco terminato il progetto Creating coherence on trade and development che ha permesso, insieme ad altre 6 organizzazioni europee, di produrre e distribuire analisi politiche sui modelli di produzione e di consumo in atto nel mondo con il fine di formare l’opinione pubblica e di riorientare l’approccio allo sviluppo ed alle regole del commercio dei governi del vecchio continente.
Il dibattito sulle politiche commerciali e sulle politiche di “Aid for trade” che ne derivano offre un’occasione per delineare e avanzare proposte innovative per utilizzare il commercio in modo efficace a supporto di un modello di sviluppo più sostenibile e che contribuisca realmente allo sradicamento della povertà ed al rispetto dei diritti.
Particolarmente significativo per MAIS è stato la pubblicazione della ricerca “Maquilas in Nicaragua”
Con maquila si intende quella fabbrica in cui del capitale straniero, in via diretta o, assai più frequentemente, tramite imprese locali subcontrattate allo scopo, controlla l’intero ciclo produttivo. La tecnologia solitamente impiegata nelle maquilas è di basso livello, tale da non richiedere particolare formazione professionale della manodopera, ma anche da consentire un rapido trasloco di queste fabbriche verso altri lidi, qualora si presentino migliori condizioni o vengano meno determinati presupposti.
Per attirare le maquiladoras, molti governi dei paesi dell’America Latina, dell’Asia, dell’Africa e, da qualche anno, anche dell’Est europeo, sono soliti offrire fortissime agevolazioni fiscali e altri vantaggi.
Di solito, le maquilas sorgono in zone franche, prossime a porti marittimi ed aeroporti, da cui il prodotto può essere rapidamente inviato ai mercati dei paesi del Nord. Una zona a forte presenza di maquilas è, infatti, la frontiera nord messicana, dove molte maquilas si sono insediate a seguito del trattato NAFTA (North American Free Trade Agreement), sul libero commercio fra USA, Canada e México.
In America Centrale, le maquilas sono soprattutto, anche se non esclusivamente, tessili. Vi lavorano, in grande maggioranza, donne giovani e giovanissime, sottoposte a pesanti pressioni psicologiche, financo molestie sessuali. In queste fabbriche, la sindacalizzazione delle maestranze è, di fatto, vietata. Le condizioni lavorative sono perlopiù insalubri e il clima generale che vi si respira è spesso repressivo.
Il Nicaragua è il secondo Paese più povero dell’America latina con alti tassi di disoccupazione e sottoccupazione. In questo contesto di povertà e difficoltà lavorativa, le maquilas delle zone di libero scambio vengono presentate ufficialmente come la salvezza del Paese, un’importante fonte di sviluppo fino ad essere definite dal Centro Nicaraguense dei Diritti Umani, come “l’unico settore che genera impiego”, “ …insieme alle migrazioni, la valvola di sfogo che impedisce l’esplosione sociale come si verifica in altri Paesi dove la gente affamata assalta i supermercati”
Nel corso degli anni si è visto però che le maquilas non sono la soluzione; in compenso, sono emerse in Nicaragua e nel mondo, esperienze a carattere economico, di agricoltura contadina, di economie solidali, di energie rinnovabili, che offrono a milioni di persone opportunità di cambiamento delle proprie condizioni e di quelle del pianeta. È cruciale quindi aprire nuovi spazi di visibilità verso l’opinione pubblica, i media ma anche verso le istituzioni locali ed europee, su tutte le esperienze e i modelli di politiche e di pratiche di cooperazione, di produzione, di consumo e distribuzione alternativi che risultano più efficaci in termini di riduzione della povertà e di sostenibilità economica, sociale e ambientale.
E noi tutti, cosa possiamo fare? Innanzitutto cambiare modo di “consumare”, riusando il più possibile, non sprecando, controllando attentamente le etichette, privilegiando i prodotti naturali e quelli realizzati in condizioni dignitose per i produttori, informandosi sull’eticità dei marchi; appoggiare economicamente le attività di MAIS.
Consorzio Ong Piemontesi