Come viaggiatori di terre nuove, come esploratori che ridefiniscono i confini, così forse l’editoria si muove, ritarando il sestante su rotte e società con cui vuole essere in contatto. A finanziare i viaggi delle navi che si gettano su percorsi sconosciuti sono, come un tempo, i principi o gli imperatori; detentori di regni finanziari sovranazionali potenti, scaltri e adusi al potere.
In questo particolare frangente gli attori sono il gruppo di Repubblica e La Stampa, con il corollario del Corriere della Sera e Il Secolo XIX. Forse per obbligati accordi o per celia, un possedimento sperduto su al nord è stato ceduto a nuovi signori.
Se il punto di vista con cui guardare a queste grandi manovre è Torino, città in cui La Stampa è nata nel 1895 e dove ha sede, l’orizzonte appare molto sfocato, il mare periglioso e l’approdo sconosciuto.
L’augurio più sentito va ai giornalisti-marinai- imbarcati sulle navi, che non facciano naufragio, che sfuggano le tempeste, che conservino la paga, che il capitano non sia un pirata ma sopra ogni cosa che puntando dritto sull’India non si ritrovino sulle coste dell’isola di San Salvador come improvvidamente successe a Colombo.
Perché quelle terre sono ormai scoperte e non vi è più oro da trafugare.
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