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Oggi, solo nel Nordovest d’Italia, sono 450 mila i professionisti che lavorano come autonomi: di questi, una buona percentuale è costituita da freelance a partita Iva, impegnati con diversi committenti. Se a questi aggiungiamo i precari nel senso stretto del termine (ovvero con un unico datore di lavoro) il dato cresce a dismisura. La condizione di precarietà riguarda ormai gran parte delle professioni un tempo considerate come “privilegiate” e che oggi invece vivono un disagio che è spia di un problema diffuso: giornalisti, ricercatori, psicologi, ingegneri, architetti, medici, avvocati, agronomi, archivisti, bibliotecari, lavoratori del mondo dello spettacolo e tanti altri. Il disagio è condiviso anche dagli studenti universitari, comprensibilmente preoccupati per il loro futuro prossimo.
Freelance e precari sono sempre più numerosi e sempre più abbandonati a se stessi. La proliferazione di contratti privi di tutele e caratterizzati da stipendi imbarazzanti è ciò che accomuna una generazione che non avrà mezzi propri per far fronte ad anzianità ed imprevisti e i cui problemi saranno quindi interamente a carico della comunità, con un costo enorme per tutti.È assolutamente necessario porre un argine a questo fenomeno, intervenendo subito. Spinti dall’urgenza di uscire dall’isolamento (che è il primo svantaggio del lavoratore autonomo) qui in Piemonte alcuni professionisti di varia estrazione, tutti attivi nel campo dei lavori cognitivi, si sono incontrati per rivendicare insieme dal basso diritti che sembrano dimenticati.Il risultato è il progetto Gasp (Gruppo autonomi soccorso precari), che si prefigge di affrontare questioni comuni quali l’assistenza sanitaria, la sicurezza sul lavoro, l’accesso al credito, uno stipendio decoroso e continuo.
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