Il processo costitutivo nell’opera d’arte contemporanea. Tre episodi a confronto.
La dis-locazione di Reus alla Fondazione Sandretto, lo spazio-lacuna di Ferreri da Alberto Peola e il design del popolo di Arkhipov da Gagosian.
Oggi per comprendere l’opera d’arte bisogna entrare nel suo processo costitutivo e interrogarsi sui meccanismi che ne regolano il funzionamento. L’arte contemporanea tende a fornire una grande importanza al progetto artistico e alla sua realizzazione con l’obiettivo di meglio trasmettere il significato in essa celato.
Secondo tale sentire artistico, nell’ambito delle ricerche più contemporanee, promosse da gallerie e fondazioni presenti sul territorio nazionale, possiamo focalizzare l’attenzione su tre modalità d’azione creativa che utilizzando oggetti comuni, portano il fruitore a intervenire, con risultati differenti, nel processo di semiosi dell’opera.
Magali Reus (1981, L’Aia) giovane artista olandese, già affermata a livello internazionale, individua oggetti d’uso quotidiano e prodotti in serie come punto di partenza formale per esplorare il rapporto tra il mondo oggettuale e la sfera umana. Reus conduce lo spettatore ad una riflessione sulla forma e sulla funzione dell’oggetto ovvero sul modo in cui un elemento materiale sobrio e levigato, possa caricarsi di senso e acquisire una personalità, in virtù della sua interazione con l’uomo.
Ogni elemento è descritto con perizia maniacale ed è minuziosamente progettato e realizzato dall’artista. Dopo aver costruito con cura la geometria dell’insieme, Reus la contamina con lievi irregolarità, frammenti di stoffa e asimmetrie, a ricordare il coinvolgimento dell’uomo nell’utilizzo di un oggetto e ad evocarne una storia.
QUARTERS è il titolo della mostra personale di Reus in corso fino al 12 giugno 2016 presso la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino.
In esposizione la serie In Place Of è dedicata al bordo del marciapiede come elemento spaziale, in cui restano intrappolati diversi effetti personali, che all’occhio dell’osservatore si trasformano in reperti archeologici pubblici. Attraverso l’incontro tra l’architettura quotidiana e le metaforiche proiezioni di un corpo che abita lo spazio, la mostra di Reus volge lo sguardo allo spazio fisico e psichico del bordo stradale. Nonostante la resa astratta, questi luoghi contengono frammenti di oggetti e di texture che trasmettono una certa inquietudine data dalla ripetizione di forme familiari mostrate solo parzialmente e ricollocate in modo ambiguo.
Leaves – l’altra serie di opere in mostra – descrive il meccanismo interno e il funzionamento di vari lucchetti dai volumi sovradimensionati, quasi fossero sotto lente d’ingrandimento. Integrati negli strati di metallo, pietra e resina ci sono numeri e lettere che suggeriscono connessioni emozionali. Descrivendo ogni scultura come una “metafora dal contenuto appena fuori portata”, Reus intende la loro forma enigmatica, criptata come “un invito a svelare”. Una data o un periodo fissano una responsabilità strutturale ma, come nel caso dei bordi, fanno anche venir meno i confini, confondendo la dimensione grafica con quella emotiva.
L’artista sostiene: “Mi piace interagire con quell’aura di “dis-locazione” che si verifica quando un oggetto viene trasferito dal mondo reale allo spazio della galleria, con i propri codici di fruizione o modi di conferire agli elementi un valore”.
Anche le sculture di Francesca Ferreri (1981, Savigliano) sono composte da oggetti d’uso comune o loro frammenti assemblati a delineare nuove identità volumetriche in una prospettiva di fusione formale e d’integrazione cromatica. In questo caso al centro della ricerca dell’artista è il vuoto, ovvero lo spazio tra gli oggetti che appaiono come semplici attivatori di un processo.
Nelle opere dell’artista questo ‘spazio’ diviene ‘forma’ mediante una progressiva stratificazione di gesso, pigmenti e resine consolidanti. Lo spazio-lacuna che lega insieme le parti dell’oggetto ne costituisce ogni volta l’essenza.
In questo senso appaiono evidenti e suggestivi i richiami al restauro, al suo significato e alle sue tecniche che l’artista ha sperimentato negli anni. Nel restauro la lacuna è quell’elemento che se bonificato, permette al nostro occhio di scorrere senza ostacoli o interruzioni sulla superficie dell’opera. Nel lavoro artistico, invece, quella stessa mancanza diventa, oltre che ponte di integrazione, soggetto principale del processo di ricostruzione della figura immaginaria a cui si tende.
Presso la galleria Alberto Peola di Torino fino al 14 maggio, in occasione del solo show dell’artista dal titolo Cluster Clutter, è possibile visionare tra le altre una selezione di opere delle serie Fuzzy Traces ed Eterocromie, composte da frammenti ceramici e ferri recuperati, gesso ed elementi riciclati. Sono lavori concepiti con un’evidente libertà formale che trasmette al fruitore un’energia estetica inaspettata.
Terzo termine di confronto è dato dalla ricerca artistica di Vladimir Arkhipov (1961, Ryazan, Russia) che dal 1990 colleziona oggetti DIY (Do It Yourself), nati dalla necessità di soddisfare bisogni quotidiani e realizzati con materiali di scarto dalla gente comune. Egli archivia le storie che hanno portato alla genesi di ciascun oggetto, intervistando e fotografando autore e creazione, e successivamente ne mostra l’esito al pubblico.
La poetica di Arkhipov suggerisce lo spostamento di focus sull’arte dalla concezione verticale ed esclusiva dell’“io sono l’artista” a quella orizzontale ed inclusiva di “ognuno è l’artista” condividendo, grazie al suo ‘design del popolo’, il concetto filosofico-antropologico dell’artista tedesco Joseph Beuys: la creatività spontanea è il motore dell’atto artistico.
In tal senso alcune opere della collezione di Arkhipov, sono state significativamente scelte da Aaron Moulton, curatore della mostra Prototypology – An Index of Process and Mutation – allestita fino allo scorso aprile presso la sede romana della galleria Gagosian – e accostate a bozzetti, disegni, maquette di artisti del calibro di Giuseppe Penone, Claes Oldenburg, Tatiana Trouvé, Cy Twombly, Carsten Hӧller,
come esempi di quel processo creativo che dall’idea, attraverso fasi evolutive successive, approda all’opera compiuta.