Intervista a Carolyn Christov-Bakargiev, direttore della GAM di Torino e del Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea.
Nella notte tra il 15 e il 16 luglio scorso ha avuto luogo il fallimentare tentativo di colpo di stato in Turchia.
Le vittime sono state circa 200 tra golpisti, poliziotti e civili. Millecinquecento militari sono stati arrestati.
Spari. Esplosioni. Il Presidente Recep Tayyip Erdoğan è fuggito all’estero sul suo aereo privato. Respinto dalla Germania, a cui aveva chiesto asilo politico, Erdoğan, in seguito alla reazione governativa, è tornato ad Istanbul dichiarando alla folla di sostenitori che lo accoglieva fuori dall’aeroporto che il golpe era stato sventato e che coloro che avevano perpetrato questo attentato all’unità, alla solidarietà e alla sovranità nazionale avrebbero pagato duramente.
Il rischio è ora quello di una stretta autoritaria da parte di un governo che ha già dato prova di tendenze anti-democratiche.
Su questo tema sentiamo la voce autorevole di Carolyn Christov-Bakargiev, uno dei più accreditati curatori d’arte contemporanea a livello internazionale, cittadina del mondo, oggi Direttore del Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea e della GAM – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino, già Direttore Artistico della 16° Biennale di Sidney (2008), di documenta 13 (2012) e della Biennale di Istanbul (2015). Quest’ultima esperienza ha permesso a Carolyn Christov-Bakargiev di vivere in prima persona la quotidianità della Turchia in ogni suo aspetto.
Dal momento che è stata Direttore Artistico della Biennale di Istanbul 2015, in relazione ai recenti fatti di cronaca in Turchia, quale opinione si è fatta sull’influenza che tali eventi potrebbero avere sullo sviluppo culturale del Paese?
L’arte e la letteratura stanno un po’ in mezzo ora. Esse costituivano l’immagine della nuova Turchia e temo proprio che oggi possano subire forti censure. Sono molto allarmata e dispiaciuta dai recenti avvenimenti in Turchia, perché era un Paese molto avanzato anche culturalmente, artisticamente, intellettualmente, con grandi scrittori come Orhan Pamuk e grandi artisti contemporanei più o meno giovani come Gülsün Karamustafa, Sarkis e Füsun Onur.
Tali eventi possono avere un terribile impatto sulla libertà di espressione e sulla presenza della voce proveniente dalla Turchia, non dico ‘voce turca’ perché la Turchia è un crogiolo di tante identità. Nel Paese c’è un grande melting-pot di culture: ci sono turchi, curdi, persone di origine armena, persone di origine greca. I turchi sono solo una parte della Turchia, soprattutto storicamente. L’impatto va più indietro nel tempo rispetto agli ultimi giorni del colpo di stato e del contro-colpo di stato. Il problema della negatività degli ultimi tempi si vede in altri modi, anche in precedenza per esempio la zona di Diyarbakir nel sud est della Turchia, che era il cuore dell’arte contemporanea negli anni Novanta, con la scuola omonima i cui esponenti erano artisti del calibro di Ahmet Ӧğüt (oggi residente a Berlino) e Halil Altindere, non esiste più, nel senso che il sud est è stato letteralmente distrutto e bombardato, annientando così quello che negli anni Novanta era un simbolo di apertura internazionale. La situazione culturale contemporanea, che ha avuto inizio lo scorso anno con l’affermarsi del governo di Erdoğan, è già più chiusa rispetto a questo recente passato. Gli eventi odierni non possono che portare sempre più ad una maggiore interferenza del governo nella cultura, certamente con possibili forme di censura. I sostenitori del Presidente Erdoğan sono a volte masse aizzate contro la diversità e la contemporaneità e sembrano negare sempre più i valori progressisti e moderni della linea laica del governo turco che deriva da Mustafa Kemal, detto Atatürk – ovvero “padre dei Turchi”- (fondatore e primo Presidente della Repubblica Turca, nata nel 1923 sulle ceneri dell’Impero Ottomano) che, tra le tante iniziative illuminate della sua presidenza, aveva permesso alle donne di non indossare più il velo. Oggi, con le difficoltà finanziarie e i cambiamenti economici dovuti anche all’uscita di denaro dal paese, risulta molto complicato organizzare un evento d’arte, di cultura e di altro genere. I miei amici che risiedono in Turchia ritengono sia necessario continuare a produrre operazioni culturali e a seguire tutte le manifestazioni in programma, nell’ottica di non favorire il volere dei settori più conservatori della società. Questa è la stessa posizione della IKSV – Istanbul Foundation for Culture and Arts che il prossimo autunno (22 ottobre – 4 dicembre 2016) sosterrà la 3rd Istanbul Design Biennial e nel 2017 (16 settembre – 12 novembre) la 15° Istanbul Biennial dedicata all’arte contemporanea. Io invece, come persona che vive fuori dal contesto culturale del Paese, se mi fossi trovata oggi a dover organizzare la Biennale d’arte contemporanea, come feci nel 2015, avrei preso in considerazione la possibilità di dimettermi dall’incarico perché sarebbe stato difficile gestire e organizzare l’evento in queste condizioni.
Bisogna dare un segnale forte che c’è una sorta di “caccia alle streghe” in Turchia. Nel mondo della realtà politica e diplomatica c’è un intreccio di real politik. Nei Paesi Europei si è bloccato il flusso di rifugiati grazie agli accordi con la Turchia. Questa situazione dà molta forza al governo turco e anche senso di libertà di agire contro gli oppositori in maniera eccessiva senza essere criticato dagli altri paesi d’Europa coi quali si è accordato. Nessuno a livello politico e diplomatico riesce a discorrere in maniera diretta su questo argomento. Mi riferisco al fatto che sembra impossibile che pochi, nei settori della politica, esprimano ombre su chi possa aver organizzato o lasciato accadere il colpo di stato. Normalmente ci si schiera contro chi attua il colpo di stato perché altrimenti ci sarebbe un’ingerenza spaventosa. Il sapere comune però nutre molti dubbi… C’è tutta una storia di colpi di stato che fin dall’Ottocento sono stati lasciati accadere per poter fortificare il potere costituito. E’ possibilissimo che l’ultimo episodio turco ne sia un esempio. Ora non lo sappiamo con certezza, gli storici ci diranno qualcosa nel futuro. Io che non mi occupo di politica, ma di arte, paradossalmente, come il poeta, come il cineasta, come l’artista, posso parlare più intuitivamente, più apertamente perché non ho nessuna influenza diretta sull’andamento della diplomazia e dei suoi accordi.
Noi, operatori culturali, possiamo organizzare le nostre mostre, possiamo girare i nostri film di fantascienza, come Matrix, in cui vengono prospettati gli scenari futuri più negativi – come delle nuove Cassandra – perché tutto ciò che viene da noi raccontato nella cultura è considerata pura finzione. Mi auguro vivamente che in Turchia questo non sia l’inizio di una rivoluzione culturale, come fu quella in Cina, ma questo è un po’ il pericolo. Ci sarebbe molto da dire sullo stato di salute delle democrazie nel mondo…Certamente l’Europa ha fatto male, negli anni, a non accettare la richiesta di inclusione della Turchia nell’Unione Europea, perché questo non ha fatto bene alla democrazia nel Paese. Penso che questo rifiuto abbia isolato sempre più la Turchia verso una tremenda forma di autocrazia.
Appellarsi alla gente comune per difendere il governo legittimo non mi sembra il modo opportuno per tutelarlo. Noi abbiamo visto spesso negli anni Trenta in Europa che cosa poteva succedere incitando le masse…Freud ha scritto testi molto interessanti sulla psicologia della folla e non è che oggi le cose siano molto cambiate… La folla per strada non significa automaticamente democrazia. E non uso due pesi e due misure, ossia non penso che alcuni sollevamenti popolari siano buoni ed altri meno. Anche Hannah Arendt ha scritto su che cosa sia lo spazio pubblico o l’agire pubblico.
Ci può raccontare un aneddoto o un’esperienza che ha vissuto a contatto con il popolo turco, che le è rimasto particolarmente a cuore?
Ricordo tante esperienze positive. Innanzitutto sono stata molto ben accolta. Ammetto di non aver mai subito pressioni politiche dai Ministeri per includere qualche artista all’interno della Biennale. Per esempio in mostra avevo una cospicua componente di artisti armeni, che nel 2015 commemoravano il Centenario del genocidio del loro popolo (perpetrato dall’Impero Ottomano tra il 1915 e il 1916) ma non ho mai ricevuto imposizioni o negazioni di sorta per questo motivo. L’arte in Turchia è sostenuta da una certa élite della borghesia turca, in particolare dagli eredi delle grandi famiglie kemalite dell’inizio del secolo scorso.
E’ tuttora così, nel senso che le grandi famiglie di industriali sono quelle che sostengono le Università ed in generale la cultura in Turchia.
Mi ricordo di aver condotto William Kentridge a pranzo da una facoltosa famiglia che sostiene anche la Biennale di Istanbul – che ci teneva moltissimo a conoscere l’artista – ed è stata una giornata piacevolissima. Alla fine del pasto l’ospite ci ha offerto alcuni cioccolatini ricoperti di una glassa blu prodotti da Divan, una delle aziende di cui sono proprietari. Ho detto che mi piacevano e prima di partire mi ha riempita di cioccolatini da portare via.
Un secondo aneddoto di cui mi ricordo con piacere è legato a Orhan Pamuk, un amico e grande letterato che avevo invitato a documenta 13, da me curata nel 2012. Bene, stavo cercando ancora alcune sedi per la Biennale e Orhan mi condusse in passeggiata a Büyükada, una delle Isole dei Principi, situata nel Bosforo, in mezzo al Mar di Marmara, dove egli ha sempre trascorso l’estate da quando è bambino.
Qui mi ha illustrato dove si trovava la casa in cui Lev Trotsky visse in esilio nei primi anni Trenta. E’ nel giardino della villa e nella porzione di mare di fronte, che Adrián Villar Rojas ha potuto installare le sue sculture. Insieme ad Orhan ho girato molto. E’ stato un consulente segreto per individuare le migliori location.
E’ d’accordo con la visione di Elmgreen & Dragset, curatori della Biennale di Istanbul 2017, secondo cui la Biennale potrebbe essere una piattaforma di dialogo contro i nazionalismi?
Io non uso questo linguaggio. Cosa s’intende per nazionalismo? Ha significati diversi in base a chi lo sostiene. Se lo dice un curdo in terra siriana è un conto, se lo dice Donald Trump è un altro!
La parola nazionalismo ha in sé un concetto antico. Può essere un ottimo elemento di aggregazione di persone in alcuni momenti storici. In effetti l’idea di stato-nazione nasce nel 1500 con la Francia e la Spagna. La seconda ondata di nazionalismo si avrà nell’Ottocento e includerà anche la Germania e l’Italia. L’internazionalismo dell’inizio del XX secolo è stato invece una reazione rispetto agli eccessi dei nazionalismi ottocenteschi che erano legati al colonialismo per cui le nazioni europee si erano spartite le risorse del mondo. Nell’Ottocento nazionalismo e colonialismo erano sinonimi. Mentre oggi l’internazionalismo è quello della globalizzazione.
In ogni caso per me nazionalismo, internazionalismo e transnazionalismo sono parole vecchie che non appartengono più alla nostra epoca. Sono d’accordo indubbiamente sull’idea che tutte le biennali siano piattaforme di dialogo tout court.
Ogni manifestazione internazionale d’arte contemporanea come documenta, che ho diretto nel 2012, sono luoghi d’incontro in cui si può riflettere sullo stato dell’arte e del mondo. L’arte, attraverso la storia, risponde alle domande più urgenti che la società si pone. Dagli antichi Egizi ai nostri giorni passando per Giotto e l’arte fiamminga. Con dibattiti, incontri e confronti si attiva un dialogo internazionale efficace e costruttivo.
La prospettiva di confronto e apertura internazionali attuale di GAM e Castello di Rivoli si riflette certamente nella programmazione delle due istituzioni museali torinesi.
Si ricordano gli eventi più prossimi:
13 settembre 2016
h. 18.00 – GAM Torino, Sala Conferenze.
Proiezione del docu-drama The Great European Disaster di Annalisa Piras e Bill Emmott.
Il film narra delle continue crisi europee, egoismi dei leader distanti dai cittadini e ripetuti errori nella gestione comune dell’economia e suggerisce quanto sia possibile un disastro prossimo venturo.
The Great European Disaster descrive un’Europa incamminata verso il baratro.
23 settembre 2016
h. 11.00 – Teatro Carignano.
Il rapporto con la terra attraverso l’arte contemporanea: Amar Kanwar, uno dei più attivi e impegnati registi indiani contemporanei, in conversazione con Carolyn Christov-Bakargiev.
h. 17.00 – Castello di Rivoli, Teatro. L’arte contemporanea e le sue forme: Amar Kanwar, Carolyn Christov-Bakargiev e Davide Scabin a confronto. A seguire, proiezione del film The Scene of Crime, 2011 (42 min.) e un evento gastronomico creato dallo chef Davide Scabin.
Gli eventi del 23 settembre sono parte del progetto nato dalla collaborazione con Slow Food – Terra Madre 2016 e realizzato con il contributo degli Amici Sostenitori del Castello di Rivoli.
www.castellodirivoli.org
www.gamtorino.it
Elena Inchingolo