Ci sono mostre definite «blockbuster», con termine mediato dall’industria cinematografica (per descrivere i film di grande successo commerciale): sono quelle che presentano capolavori molto noti e di richiamo e generano grande affluenza e consenso popolare, ma sono anche, solitamente, frutto di prestiti consistenti dal medesimo nucleo di opere, presenti in altre sedi museali permanenti, perciò sempre visibili nella loro collocazione primaria. Ci sono invece mostre costruite con grande specializzazione, studiate su progetti e su temi specifici, selezionando opere non facilmente fruibili, poiché prevalentemente appartenenti a collezioni private.
Il 21 settembre scorso è giunta finalmente a Torino la mostra “Brueghel. Capolavori dell’arte fiamminga”, che appartiene sicuramente alla seconda categoria sopra descritta. Il fatto che i numeri complessivi di visitatori annoverati nelle sedi che hanno ospitato la mostra precedentemente abbia superato il milione di presenze testimonia che le esposizioni riconducibili a questa seconda categoria possono raggiungere un successo di pubblico pari (se non superiore) ad eventi «blockbuster».
Ideatori e curatori della mostra sono Sergio Gaddi, ex Assessore alla Cultura del Comune di Como e curatore di numerose mostre presso la sede di Villa Olmo e Andrea Wandschneider, Direttore del Paderborn Städtische Galerie in der Reithalle.
Dopo ben otto tappe che, in soli 4 anni, l’hanno vista toccare con eguale, se non crescente interesse, le città di Como (100.000 visitatori), Tel Aviv, Roma (200.000 visitatori), Bratislava, Parigi (200.000 visitatori), Paderborn (200.000 visitatori), Bologna (160.000 visitatori), la dinastia dei Brueghel approda alla Reggia di Venaria, in una delle dimore dei Savoia. Si tratta di 115 capolavori di una delle botteghe delle Fiandre più note e di successo che, dalla metà del 1500, a partire dal capostipite Pieter il Vecchio, attraversò centocinquant’anni di storia dell’arte, con quattro generazioni di pittori di eccezionale talento non solo artistico, ma anche commerciale e promozionale.
Apprezzate dai collezionisti di tutte le epoche, alcune opere dei Brueghel confluirono nella collezione del Principe Eugenio di Savoia, giungendo, attraverso i suoi palazzi viennesi, a Torino, dove oggi sono conservate nella Galleria Sabauda. Questo legame particolare tra la capitale sabauda e le Fiandre trova oggi una rinnovata freschezza in virtù del contributo dato all’esposizione dalla giovane galleria torinese Caretto & Occhinegro, sia in termini di prestiti e intermediazioni (grazie a loro sono in mostra: “Schizzo per paesaggio con guado” di Jan Bruehel il Vecchio; “Le tre grazie con un cesto di fiori” di Jan Brueghel il Giovane e Frans Wouters; “Diana e le Ninfe spiate da Atteone” di Paolo Fiammingo; “Studio di insetti con fiori di borragine” di Jan van Kessel il Vecchio) sia in termini di collaborazione scientifica, con la formulazione di schede del catalogo. Veder approdare in questa sede la mostra, cui Massimiliano Caretto e Francesco Occhinegro tanto impegno ed energie hanno dedicato, è sicuramente sufficiente gratificazione e ricompensa per due giovani intraprendenti e preparati. Dunque finalmente, come si diceva, ma verrebbe da chiedersi: perché in fine? Come spesso accade in questa Regione, si fa fatica a veder riconosciuti i meriti dei talenti che qui hanno visto la propria formazione e l’inizio del proprio percorso e che, spesso il cammino porta altrove, dove una più onesta capacità di giudizio premia giovani validi e intraprendenti … per non smentire l’antico adagio: “nemo propheta acceptus est in patria sua”.
Ma tornando al percorso e alle novità che caratterizzano l’allestimento, come è avvenuto in ciascuna tappa della “tournèe” della mostra, anche in questa circostanza si è proceduto a un riallestimento organizzato in sette sezioni tematiche (il giudizio morale; tra salvezza e condanna; la natura regina; soldati e cacciatori nella luce dell’inverno; storie di viaggiatori e mercanti; le allegorie, racconti delle meraviglie; splendore e vanità della vita silente; la danza degli ultimi), con l’inserimento di nuovi prestiti e revisioni dell’apparato didattico.
Se l’animazione intitolata Invito a nozze non deluderà i giovani amanti della realtà aumentata (consentendo al visitatore di presenziare come convitato al “La Danza nuziale all’aperto” di Pieter Brueghel il Giovane 1566, un soggetto con il quale il pittore si è misurato almeno una trentina di volte, nel corso della sua carriera) il vero gioco consisterà nella comprensione di un mondo che ha fatto della pittura fruibile quotidianamente nelle proprie case, il vero divertissement dell’alta borghesia mercantile fiamminga.
Una mostra che consiglierei a tutti perché risulta fruibile e lontana dagli intellettualismi che in genere vengono associati a questa dinastia di pittori, riuscendo a parlare ad un vasto pubblico, senza perdere in termini di consenso e affluenza e senza sminuire la funzione educativa e divulgativa dell’arte.
Vero richiamo per il pubblico è la presenza di capolavori come I sette peccati capitali di Hieronymus Bosch (1500-1515, autore che tanto ispirò il capostipite dei Brueghel), la Resurrezione di Pieter Brueghel il Vecchio (1563 ca.) e Paesaggio con parabola del seminatore di Pieter Brueghel il Vecchio e Jacob Grimmer (1557).
Opere molto note sono altresì La trappola per uccelli (1601) e Le sette opere di misericordia (1616), del figlio del capostipite, Pieter Brueghel il Giovane, erede del tratto moralistico pedagogico del padre, cui si deve la fortuna dello “stile Brueghel”; egli realizzò infatti numerose copie dell’opera paterna consentendone la diffusione e la conoscenza da parte del pubblico e dei committenti e alimentandone il mercato. Il tema della caducità della vita, che caratterizza questi ultimi due dipinti, ritorna nella terza sezione della mostra, con il racconto degli aspetti più crudi e realistici della quotidianità, che ritroviamo in Paesaggio invernale con la strage degli innocenti di Marten van Cleve (1570 ca.) e in Coppia di contadini assalita dai briganti (sezione La danza degli ultimi), del medesimo autore (1576).
Marten van Cleve fu in stretti rapporti con il capostipite della dinastia e appartenne alla cerchia di artisti che Georges Marlier ha definito “Les Bruegheliens” in quanto ispirarono Pieter Brueghel e da lui furono ispirati.
Dell’altro figlio di Pieter il Vecchio, Jan il Vecchio, denominato dei velluti, per la straordinaria capacità tecnica che lo porterà ad un vera perfezione pittorica, segnaliamo, tra le opere presenti in mostra, Paesaggio fluviale con bagnanti 1595-1600, esempio della passione per il paesaggio e la natura che già aveva caratterizzato l’opera paterna e che divenne fulcro della sua espressione artistica. Egli con i suoi undici figli di cui due: Jan Brueghel il Giovane e Ambrosius, seguirono la tradizione familiare, diede origine alla terza generazione di artisti, cui seguì la quarta rappresentata dai figli di Jan il Giovane: Abraham e Jan Pieter.
Jan Brueghel il Giovane si concentrò, invece, su temi allegorici di cui divenne un vero specialista, come attesta l’opera Le tre Grazie con cesto di fiori (1635, già precedentemente citata), novità di questa tappa torinese. Altro ambito in cui si distinsero Jan Brueghel il Giovane e il fratello Ambrosius furono le nature morte, ovvero vasi di fiori recisi, allusivi della vanitas (caducità della bellezza fisica e naturalistica destinata a sfiorire con il trascorrere de tempo).
Le splendide composizioni di vasi di fiori, erano un genere diffuso presso le famiglie borghesi fiamminghe ove rappresentavano uno status symbol; infatti a seguito dell’arrivo di nuove specie esotiche ornamentali come i tulipani, si diffuse in tutte le Fiandre una vera e propria moda, quasi una “tulipomania” , che causò l’aumento incontrollato dei prezzi, che fu all’origine del crollo improvviso della domanda (1637), con la conseguente prima crisi economica dell’occidente. Possedere una riproduzione di un vaso di fiori rari poteva risultare così un valido e più economico sostituto dei preziosi bulbi.
Ultima novità della Venaria è infine la figura di Paolo Fiammingo, pittore naturalizzato italiano che ben sintetizza la lezione della pittura rinascimentale italiana, il colorismo di matrice veneta e il gusto per i dettagli e i paesaggi caratteristico dell’arte fiamminga: in Diana e le Ninfe spiate da Atteone (1580) la disposizione del figure, di impronta scenografica è perfettamente simmetrica e focalizzata verso la parte centrale del quadro, dove si sviluppa l’azione principale della narrazione, mentre la descrizione millimetrica del fitto bosco e della natura morta floreale evidenziano la bravura, tutta nordica nella rappresentazione degli elementi vegetali, che proprio allora la scienza incominciava a catalogare.
Raffaella Tione
Torino – Reggia di Venaria,
Piazza della Repubblica 4, Sale delle arti
21 settembre 2016 – 19 febbraio 2017
Galleria Caretto & Occhinegro
Via Maria Vittoria 10
10123 Torino – Italia
http://carettoeocchinegro.com/