Sin dal nostro primo incontro con Silvia Borella e Mauro Piredda, direttori e proprietari di Privateview, galleria in Via Goito 16, in occasione dell’apertura lo scorso maggio, è stato chiaro che questi due collezionisti d’arte appassionati e coraggiosi “imprenditori di cultura” desideravano mettere in atto una loro idea precisa ed elaborata, il cui obbiettivo fosse costruire e produrre una linea espositiva ed editoriale di estrema qualità, in tutte le sue fasi.
Questo comporta ripensare alla galleria come “luogo progettuale ed esecutivo” di una mostra a partire dalla sua fase elaborativa: Silvia e Mauro hanno alzato il livello invitando gli artisti stranieri da loro selezionati, spesso alla loro prima personale in Italia, a realizzare solo mostre site specific e, se così si può dire, a pensare e vivere “site specific”, invitandoli in progetti di residenza finalizzati ad accrescere e stimolare il processo creativo. Nelle loro intenzioni si può attivare e potenziare il mutuo scambio tra territorio e artista; quest’ultimo crea la propria arte filtrando quelle che sono le suggestioni di un luogo nuovo, architettura, sonorità, cultura, e quindi la restituisce al territorio stesso con opere che nascono e si arricchiscono dal dialogo instaurato.
Eric Shaw (Connectictut, 1983), giovane artista di Brooklyn alla sua prima mostra in Europa, inaugura questo ciclo di residenze: a Torino dall’inizio di gennaio, ha realizzato i lavori della sua personale – che inaugura giovedi 30 marzo, visitabile sino al 29 aprile – nella residenza d’artista messagli a disposizione dai galleristi e le espone nella sua personale SyntaxReflux, curata da Domenico de Chirico.
Il procedimento pittorico di Eric parte dall’assimilazione di elementi grafici di uso comune, presi in prestito dalla segnaletica o dalla pubblicità (e persino dalla vista dei ponti sul fiume Po, come vedremo). Il punto di partenza è uno schizzo, realizzato con i tools di editing dello smartphone, che Shaw riporta sulla tela dipingendo a mano con l’uso di pittura vinilica ed acrilica. Quotidianamente poi fotografa il lavoro svolto e ridisegna sull’immagine digitale acquisita. Riporta nuovamente sulla tela le sagome inserite e, ripetendo più volte quest’operazione, che alterna passaggi di tecnica analogica con quella digitale.
Il titolo della sua personale è come una sintassi: ogni quadro ripete forme e motivi come se utilizzasse il vocabolario di una lingua specifica. Il risultato è un gioco psichedelico il cui effetto gioioso e apparentemente caotico è frutto di un preciso e complesso rigore formale.
Abbiamo incontrato Eric mentre terminava l’ultimo quadro della mostra; qui da gennaio, tornerà a breve a New York, ma prima assisterà alle reazioni del pubblico alle sue opere “made in Turin”.
Questa è stata la tua prima esperienza come artist in residence?
Grazie a Silvia e Mauro è la mia prima esperienza come artist in residence ed è in assoluto la mia prima volta in Italia, anzi in Europa! Non ho viaggiato moltissimo prima d’ora, sono stato in Messico e in Canada, ma mai oltre l’oceano.
Che impressione ti ha dato Torino?
Mi piace molto l’architettura! Il tempo è indubbiamente migliore rispetto a New York, Torino è a dimensione d’uomo, non ha troppo turismo, è anche piuttosto economico viverci rispetto a NYC, o anche solo Milano, dove sono stato qualche giorno.
Chi hai frequentato?
In questo periodo mi sono relazionato con i ragazzi della galleria, soprattutto in occasione di opening, poi mi sono venuti a trovare la mia fidanzata (anche lei è un’artista) e altri due miei amici artisti; ho avuto quindi molto tempo per concentrarmi sul lavoro, il che è stato un bene. Perché in due mesi ho realizzato l’intera mostra! Ho anche incontrato Il curatore Domenico De Chirico con cui mi sono trovato bene, è venuto diverse in studio, abbiamo parlato, cercava di comprendere quale fosse il mio progetto espositivo nella sua complessità.
Avevi già un’idea di cosa avresti fatto qui, avevi già pensato ai quadri da realizzare?
Non veramente, io iniziare a dipingere quello che tratteggio sul mio smartphone come fosse un quaderno di bozzetti, e da lì seguo la costruzione formale rifotografando l’opera e ridisegnando sulla foto stessa, creando più livelli; questo è il grosso punto di partenza su cui costruisco la composizione su tela, che piano piano si arricchisce di molti elementi: una modalità molto simile ai collage ma che è frutto di elaborazioni quotidiane.
Mi sembra che molti lavori abbiano l’horror vacui, che è un’espressione latina per dire che sei spaventato dagli spazi vuoti…
Si, in parte è vero, in realtà molti dipinti sono densi solo a livello cromatico della base, base sulla quale disegno pochi tratti. Certamente la base è sempre molto decorata, uso i colori piatti di forte intensità, alcuni anche con texture brillanti o realizzo basi complesse nella realizzazione, come quelle che imitano il camouflage e che richiedono molto lavoro. Su queste cose disegno linee e curve a contrasto cromatico utilizzando i tape colorati che si usano sulle automobili per decorarle e dipingerle. In questo modo si creano diversi livelli prospettici, anche sui colori piatti.
Hai studiato arte a scuola, hai sempre amato disegnare?
Sì, sin da piccolo amavo disegnare, disegnavo fumetti riprendendoli da quelli che leggevo: era il modo per entrare in contatto con gli altri, per farmeli amici…Poi ho avuto un periodo in cui mi sono dedicato alla musica, verso i vent’anni, suonavo la batteria…Il disegno però non l’ho mai abbondonato, provando anche altre tecniche, l’inchiostro su carta, le guaches ad esempio, una tecnica che uso tuttora proprio nei fondi a camouflage…
Quanti dipinti hai realizzato per la mostra?
Nove e quasi tutti di grandi dimensioni, ai quali naturalmente ho lavorato in contemporanea, ma mai più di due alla volta, così come sono abituato a fare nel mio studio a New York, che è molto più piccolo di questa stanza!
Hai una galleria a New York?
A New York ho molti studio visit, collaboro con gallerie diverse e ho un galleria che mi rappresenta a San Paolo in Brasile, dove avrò una personale a Novembre.
Quanto sono stati influenzati i tuoi lavori dall’essere qui a Torino mentre li realizzavi?
Ho cercato di incorporare molti elementi che ho incontrato nel mio soggiorno qui a Torino, le linee curve prese dagli archi dei portici, in uno ho citato le arcate sul fiume Po, (si possono riconoscere le barche che navigano, segnali stradali…) ci sono molte influenze che provengono dal figurativo e che si astraggano sulle tela. Per un’insegna ho preso ispirazione da una decorazione di una vineria ad Alba, dove sono stato qualche settimana fa.
Quali sono i tuoi prossimi impegni?
Ho in programma due mostre, una collettiva a New York, e una personale a San Paolo, di cui parlavo prima: credo che dovrò lavorare molto. Qui ho lavorato con un ritmo molto serrato ma è stata una cosa positiva perché ero molto più focalizzato sulla produzione, non avevo distrazioni, amici, vita sociale, la fidanzata…Anche se lei, essendo artista, capisce i tempi del mio lavoro. Anna (Anna Vieux , n.d.r.) dipinge con i new media, stampe che poi imprime su stoffa, mentre ero qui ha tenuto una mostra a Londra…
Assegni dei titoli alle tue opere?
Si, preferisco assegnare dei titoli parlanti che diano un significato al dipinto, ma ci sto ancora pensando perché non sono ancora del tutto convinto.
Scrivi poesie?
No, per rilassarmi amo leggere, amo suonare, una volta suonavo la batterista, oggi preferisco rilassarmi con la chitarra o il banjo…
C’è qualche altro artista in famiglia?
Non in modo professionale, anche se mio padre dipinge in modo artistico le auto e costruisce strumenti musicali in forma del tutto amatoriale…Devo dire che i miei genitori mi hanno sempre sostenuto in tutte le mie scelte.
Hai dei dipinti da cui non ti riesci a separare?
Si nel mio studio ho alcuni dipinti più semplici, le prime versioni con astrazioni meno complesse, che ho realizzato all’inizio del mio percorso e che sono molto importanti per me.
Cosa vorresti che emergesse dalla tua personale in galleria?
Spero che la gente colga la conversazione che ‘è tra tutti i quadri e tra un quadro e l’altro, il senso di armonia, la possibilità di ritrovare molti elementi nei diversi dipinti, quasi un linguaggio comune declinato in modo diversi.
Cosa ti ha lasciato questa esperienza?
Ho imparato molto dallo stare da solo, prima di oggi non era mai veramente successo, mi sono potuto concentrare davvero sul lavoro, tanto è vero che sono riuscito a realizzare nove grandi quadri che a New York avrai fatto in molto più tempo. Ero molto preoccupato all’inizio quando sono arrivato, ma alla fine sono stato molto contento di questa esperienza, ho condotto una vita molto regolare, ho lavorato, riposato…qui è molto più tranquillo che a New York!