Il 15 novembre, nel palazzo Dal Pozzo della Cisterna di Torino, ha avuto luogo il Convegno “Guido Ceronetti, torinese fuori ordinanza, poeta contro il conformismo e il consumismo”, col quale il Centro Pannunzio, con il patrocinio della Città metropolitana di Torino, ha voluto rendere omaggio all’intellettuale torinese in occasione del recente compimento del novantesimo anno d’età, indagando i vari aspetti del suo genio poliedrico: la poesia, il giornalismo, le straordinarie traduzioni dei poeti latini- in particolare di Catullo- le traduzioni dall’ebraico antico dei testi biblici, il Teatro dei Sensibili, nonchè la sua convinta scelta vegetariana, “un’incrinatura sensibile all’uniformità sociale”, dettata da un così alto rispetto per gli animali da potersi considerare essa stessa una nobile manifestazione di pensiero.
I temi sono stati sviluppati da Valter Vecellio, vicecaporedattore di Rai 2 e direttore di Notizie Radicali, Sarah Kaminski, traduttrice e docente di ebraico all’Ateneo di Torino, Carmen Nicchi Somaschi, Presidente dell’Associazione Vegetariana Italiana; Giovanni Ramella, critico letterario e indimenticato preside dello storico Liceo Classico D’Azeglio di Torino, e da Gilberto Giuseppe Biondi, docente di letteratura latina all’Università di Parma e direttore del Centro Studi Catulliani, che, commentando appassionatamente la sua preziosa edizione Millenni dell’Einaudi, ha saputo coinvolgere il folto pubblico in tutto l’incanto e il tormento degli splendidi frammenti dedicati a Lesbia nella versione ceronettiana.
Che Torino dedichi un omaggio a Guido Ceronetti può apparire quasi paradossale, dati i sentimenti controversi che l’anomalo intellettuale nutre per la sua città, dalla quale si è allontanato nel 2009, preferendole il refugium di Cetona, borgo medievale fra le colline senesi, dove vive da moderno anacoreta, lontano dai siparietti chiassosi della mondanità e dei luoghi comuni. Cosi simile, in questo suo atteggiamento, a un altro grande torinese sui generis, il conoscitore di segreti Elémire Zolla, che detestava la sua città natale, e che proprio all’amico Ceronetti- come lui emarginato dall’intellighenzia allineata, e come lui ritiratosi in aristocratico esilio in Toscana- dedicò alcune pagine evocatrici della sua infanzia in una Torino oppressa dal grigiore post- industriale, dove il geniale bambino Zolla si aggirava smarrito, cercando invano, in qualche suo scorcio, un frammento di bellezza.
Dalla fine degli anni Sessanta, quando lo stesso Zolla pubblicò sulla rivista Conoscenza religiosa un saggio ceronettiano in difesa della luna, nel quale l’autore esprimeva tutto il suo sdegno nei confronti dell’allunaggio, da lui considerato uno stupro e un’esplosione di stupidità umana (“Giù le mani dalla luna!” , gridava agli astronauti), il Filosofo Ignoto ha percorso il suo sentiero solitario di gnostico non irretito da facili ottimismi, di profeta di catastrofi e sventura, persuaso dell’inestirpabilità del male nel mondo e dell’esistenza di una pianificazione nella stupidità umana contemporanea.
Bersagliato da polemiche, definito antimodernista a reazionario dalla cultura omologata per i suoi sfottò alla New Age, per le sue ferme prese di posizione contro i trapianti d’organo, contro lo strapotere dello Stato del Vaticano sull’Italia- da lui avvicinato a quello della Cina sul Tibet-, contro l’ ondata migratoria, a suo parere inevitabile premessa di guerre sociali e religiose, Ceronetti, come un chirurgo impietoso, cauterizza con la parola, affidando le sue opinioni scomode a una prosa ribollente di indignazione e folgorante nelle metafore, nella quale perfino i suoi più meticolosi detrattori sono costretti a riconoscere i toni di una remota verità.
Quando Pier Franco Quaglieni, Direttore del Centro Pannunzio, consapevole della mia ammirazione per Ceronetti, mi affidò l’incarico di coordinare il Convegno, provai a convincere il Grand Vieux a parteciparvi, nel corso di due conversazioni telefoniche, avvenute rigorosamente allo scoccare delle 22, in osservanza a certi suoi misteriosi rituali-. “Tu mi fai vibrare di piacere”, rispose Ceronetti, piacevolmente sorpreso dall’iniziativa, “ma venire a Torino per me sarebbe un suicidio”.
Città ‘degradata’, Torino, città triste, in cui lui, così solitario, si sente irrimediabilmente solo. La sua voce pareva provenire da uno spazio ormai remoto; esile, come il suo corpo sottile e incurvato: uno schiaffo a una società sempre più ossessionata dal culto della fisicità . Una fragilità che rievoca un aforisma de Il silenzio del corpo: “Nulla, nessuna forza può rompere una fragilità infinita”, elegante ossimoro nel quale, dichiarando una fragilità, l’autore ne rivendica l’invincibile forza.
“Invita al convegno Vittorio, che mi conosce bene, e può parlare per conto mio”, mi consigliò Ceronetti, riferendosi al comune amico Sgarbi, che nutre per lui una straordinaria ammirazione, tanto da averne proposto la nomina a senatore a vita.
Ciò che è risultato impossibile il 15 novembre per impegni già assunti dal critico d’arte si realizzerà nel periodo natalizio; quando, su iniziativa dello stesso Sgarbi, busseremo alla porta dell’eremo ceronettiano di Cetona per registrare una videontervista da allegare agli atti del convegno.
Chissà, magari il Filosofo Ignoto ci offrirà una tazza del suo tè giapponese, anche se, come ha dichiarato, per lui il tè in compagnia è una specie di pena. In questi casi, infatti, “Qualcosa ne strangola il piacere, obbligando a scambi futili di parole, e annullandone l’effetto magico sui nervi e sul pensiero”.
Marina Rota