C’era un tempo – non così lontano – in cui la musica era così tosta da meritare la M maiuscola, capace di scuotere i corpi quanto le menti, un’epoca d’oro di militanza musicale in cui non erano personaggi perlopiù mediatici come Fedez o Alessandra Amoroso a riempire gli stadi ma dei in forma umana dai nomi altisonanti e maestosi, come i Led Zeppelin e i Rolling Stones.
La mostra “Un mausoleo a 33 giri”, dedicata al mondo della musica su vinile allestita da Paolo Sicco e Angelo Prestini, con il supporto della Compagnia di San Paolo e aperta al pubblico dal 22 marzo al 22 aprile, nasce con lo scopo di celebrare il rock immortale, irriverente incantatore di milioni di persone nel mondo, con una selezione di 500 copertine di quelli che una volta si chiamavano LP nell’austera cornice del Mausoleo della Bela Rosin non a caso a pianta circolare come un disco in strada Castello di Mirafiori.
L’idea funziona, è accattivante; gli eterni nostalgici si entusiasmano, i malati (terminali) della musica di qualità applaudono al lodevole tributo. Colmi di eccitazione attendono con ansia il giorno di apertura e il 22 marzo si precipitano sul posto pronti a rivivere i sogni e le emozioni di una gioventù tristemente lontana e incautamente idealizzata; e ciò che vedono li disorienta e li indigna. Alla magnificenza del Mausoleo, piccola oasi di bellezza nella desolata periferia di Torino, si contrappone una mostra scialba quanto insipida, che non solo fallisce miseramente nel celebrare l’intramontabile rock ma ne vitupera il ricordo, lo ridicolizza e lo offende.
Le 500 copertine, esposte piattamente una affianco all’altra e incellophanate – l’imbalsamazione della Musica immortale, quale oltraggio – sono prive di qualsiasi riferimento storico/artistico, dimenticanza imperdonabile che rende l’esposizione più simile a una raccolta da cameretta (non poi tanto fornita) di un ragazzo degli anni 70.
Pare quasi di entrare in chiesa: il silenzio ovattato e la fredda schiera di copertine danno l’impressione di trovarsi in un sepolcro. E come dare torto, poi, a chi dice che il rock è morto.
Colpo di grazia: gli orridi manichini con indosso terrificanti magliette a tema che neanche l’ultimo dei negozietti cheap e una tristissima lista all’entrata a raccogliere i nomi di tutti i visitatori desiderosi di ascoltare i loro pezzi preferiti, ai quali si richiede una seconda visita per qualche minuto di ascolto gratuito, ovviamente in separata sede.
Niente musica da ascoltare sul posto, né dettagli sulle cover e chi le ha realizzate; solo un piccolo buffet di benvenuto che pare più un maldestro tentativo di ingraziarsi i giornalisti più indulgenti. Un tranello ben riuscito senza dubbio, che promette di mietere molte vittime nel prossimo mese. Un consiglio: tenere fuori dalla portata dei rocker più sfrenati.
Ilaria Lospaio