Le Metamorfosi di Francesco Vezzoli è il titolo della mostra personale inaugurata martedi 9 giugno negli spazi della galleria Franco Noero a Torino. Vezzoli, nato a Brescia nel 1971, artista contemporaneo italiano tra i più noti e discussi a livello internazionale, ha elaborato per gli spazi di Via Mottalciata una raffinata mostra composta da opere inedite, di cui ha curato nei dettagli l’allestimento modificando l’usuale aspetto della galleria, sino a mutarla in una sorta di tempio metafisico.
Lo spettatore è condotto in un corridoio al fondo del quale si stagliano bianco e nero su light box le riproduzioni delle nove muse, ispirate alle incisioni del XV secolo conosciute come le Muse dei Tarocchi attribuite al Mantegna, sulle quale Vezzoli è intervenuto applicando delle lacrime iridescenti che diventano esse stesse decoro e che richiamano i noti lavori dell’artista dedicati al ricamo.
Le eleganti figure femminili, sacerdotesse ambigue ed eteree che scopriremo essere qui chiamate a emettere implacabile giudizio, ci introducono al naos, o cella, che indicava nell’antichità la parte interna di un tempio greco o romano e che custodiva l’immagine della divinità (una statua di solito) e simbolicamente era la casa del dio stesso, al quale solo il sacerdote poteva accedere liberamente.
Qui, al centro della sala, ci si trova al cospetto della rappresentazione del mito di Apollo e Marsia, il satiro che osò sfidare Apollo, dio delle arti e della musica, nel suonare il flauto, e che, avendo perso la sfida secondo il giudizio delle Muse, fu punito per la sua arroganza con una tortura atroce, scorticato vivo dallo stesso Apollo.
Il mito, tratto dalle Metamorfosi di Ovidio, è qui illustrato da una raffinatissima scultura originale romana in marmo del I secolo d.C. (con aggiunte del XVIII secolo) – un satiro – su cui incombe imponente una scultura contemporanea in materiale sintetico, raffigurante il dio Apollo nella sua iconografia più nota, l’Apollo del Belvedere. Quest’ultimo -metamorfosi dell’artista- ha le sembianze di Vezzoli medesimo (sacerdote e dio del tempio nello stesso momento) ed è colto nell’atto di infliggere la terribile pena al satiro che ha osato sfidarlo.
La mostra raggiunge qui il suo apice e dichiara il suo cortocircuito: per la prima volta un artista contemporaneo non cita un’opera antica, ma se ne appropria letteralmente (la scultura è stata regolarmente acquistata ad un’asta) sino a conferirle nuovi significati, mescolando abilmente cultura classica e contemporanea, ciò che percepiamo come antico (l’iconografia di Apollo) e ciò è davvero lo è (la statua romana) e che per questo, soprattutto nella nostra cultura occidentale, sappiamo essere intoccabile.
Questa coraggiosa operazione di condensazione tra passato e presente, ricca di riferimenti colti che rivelano un artista realmente a proprio agio con la cultura classica, ha trovato nelle parole stesse di Francesco Vezzoli una geniale sintesi: alla domanda su una nuova definizione che superasse il concetto di citazionismo l’artista ci ha risposto che l’opera è un “pastiche overbudget”, rivelandoci con un sorriso la sfida – anche economica- affrontata in questa occasione.
Delizioso il manifesto distribuito all’ingresso che ritrae Francesco –ultima ironica metamorfosi – nelle vesti della Musa del Mantegna. Contrariamente alle nove fanciulle che piangono la sorte di Marsia (dalle loro lacrime sgorgherà un fiume, ci ricorda Ovidio) Vezzoli sorride, con sguardo complice.
Paola Stroppiana