Flashback è una fiera ma non sembra. Ne ha la funzione ma non lo spirito. Rosso d’uovo prezioso dentro al rigido e minimalista contenitore costruito dall’architetto Isozaky ora Pala Alpitour, ribalta le aspettative tra interno ed esterno, l’arte antica è l’inatteso ospite accolto in questo guscio dalle rigide pareti metalliche, anche se Flashback tiene a ribadire il concetto che l’arte è tutta contemporanea.
Lusso, calma e una certa voluttà sono la cifra del brusio delle ressa che la popola, una manifestazione intima, cordiale, che conosce l’arte difficile del ricevere. Decisamente torinese nei modi, i grandi capolavori esposti sono come appartati, attendono pazienti di rivelarsi all’occhio esperto. Nulla di ostentato, il colore arancione che caratterizza questa terza edizione riluce senza fare ombra a opere e gallerie importanti.
Difficilmente si riesce a sapere cosa viene venduto e a quale prezzo, ma non sfugge che alcune opere alle pareti sono cambiate, sostituite con lavori altrettanto preziosi.
Occasione di riflessione e dialogo ogni giorno il tardo pomeriggio apre ad incontri e analisi in una zona dedicata, all’avvicinarsi della chiusura della giornata in cui molti galleristi non hanno ancora sfiorato il ristoro di una sedia, iniziano i concerti di musica sinfonica. Pochi sanno che una manifestazione come Flashback, che occupa uno spazio grande come piazza Emanule Filiberto, nasce in un piccolo ufficio di una via porticata della città, a farla grande sono due donne, le organizzatrici: Stefania Poddighe e Ginevra Pucci.
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