Luigi Ghirri (1943-1992) è stato l’autore che ha saputo rivoluzionare la cultura fotografica italiana sia con le opere sia con l’attività curatoriale e critica. A partire dai rapporti d’amicizia con artisti concettuali della sua regione d’origine, l’Emilia-Romagna, arriva rapidamente a mettere in discussione le idee che negli anni Settanta erano prevalenti tra fotoamatori e professionisti. Dall’estetica della “bella immagine”, in costante competizione perdente con la pittura, passa a considerare la l’esperienza fotografica come un momento di osservazione e conoscenza del mondo.
La forma per Luigi non è mai lo scopo ultimo del fotografare, ma è solo il mezzo necessario per poter rendere visibile ciò che si pensa. Dentro ogni fotografia di Ghirri ci sono pensieri sulle cose che emergono dalla loro attenta osservazione. In questo senso, le immagini richiedono la partecipazione attiva di chi le guarda perché non danno risposte, ma stimolano nuove riflessioni e domande. Dal primo periodo fortemente radicale e sperimentale, l’opera di Ghirri si sviluppa in seguito nella direzione di una contemplazione dei luoghi alla ricerca del loro punto di equilibrio tra memoria e quotidiano, tra immagini già emerse e nuove che attendono di rivelarsi.
Oltre all’impegno come fotografo, Luigi Ghirri dedicò molte energie nel supplire alla carenza di attenzione critica, coinvolgendo in vari progetti altri fotografi e sostenendoli nel loro percorso di valorizzazione, dando così avvio ad un movimento, che verrà poi definito “nuovo paesaggio italiano”, il cui evento fondativo fu la mostra, con relativo catalogo, intitolata “Viaggio in Italia” (1984). Tra i partecipanti troviamo nomi che saranno poi ampiamente riconosciuti: Gabriele Basilico, Guido Guidi, Mimmo Jodice. Olivo Barbieri, Mario Cresci e altri ancora.
Mentre l’ambiente fotografico comprese già all’epoca l’importanza dell’opera ghirriana, va purtroppo registrato il netto ritardo con il quale l’ambiente dell’arte ne riconobbe il valore. La morte prematura unita ad un certo snobistico rifiuto del fotografico come mezzo accettabile per realizzare opere d’arte, se non inserito in percorsi di senso più ampi, ha spostato a tempi vicini a noi il dovuto riconoscimento. Oggi chi seppe anticipare molto di quanto circola nelle gallerie vede finalmente onorata la sua primazia, anche se talvolta purtroppo con esiti involontariamente caricaturali.
Fulvio Bortolozzo