E’ stata inaugurata alla GAM la grande mostra personale dedicata all’artista Braco Dimitrijević (Sarajevo,1948), curata dal direttore uscente Danilo Eccher e prima esposizione dedicata ad un artista contemporaneo della nuova era di Carolyn Christov-Bakargiev, visitabile sino al 24 luglio.
Figlio d’arte, artista prodigio (la prima fase della carriera come pittore trova il suo apice nella sua personale allestita nello studio paterno a soli 10 anni) dopo l’Accademia di Zagabria, Dimitrijević studia alla Saint Martin’s School of Art di Londra. Dagli anni Settanta inizia a presentare il suo lavoro in esposizioni internazionali come la Biennale di Parigi (1971), Documenta a Kassel (1972 e 1977), la Biennale di Venezia (1976). Nello stesso periodo comincia anche la sua relazione con l’Italia, quando nel 1971 Lucio Amelio lo invita a Napoli per esporre in una mostra personale e nel 1974 è a Torino invitato da Gian Enzo Sperone, con il quale oggi continua a lavorare. In questo decennio sue mostre personali si tengono allo Stadtisches Museum Monchengladbach (1975), al Van Abbemuseum Eindhoven (1979) e all’ICA di Londra (1979). Dagli anni Ottanta fino ai giorni più recenti numerose mostre personali sono state presentate in musei, tra i quali la Tate Gallery di Londra, il Museo Ludwig di Colonia, la Kunsthalle di Berna, Museum Moderner Kunst Stiftung Ludwig di Vienna, l’Israel Museum di Gerusalemme, Kunsthalle Dusseldorf, Musee d’Art Moderne de Saint Etienne.
Dimitrijević è un personaggio eclettico, estremamente complesso, che ha saputo coniugare in modo del tutto originale la propria riflessione storico-filosofico con influenze pop e concettuali. Gli esiti sono opere installative, fotografie e video di grande impatto visivo ma di lettura volutamente non immediata che pongono al visitatore interrogativi etico-culturali a più gradi di difficoltà: accostamenti improbabili, paradossi in immagine, provocazioni che esprimono un mondo interiore immaginifico e riflessivo, come l’opera scelta come invito per la mostra, la foto di Josef Strauss dalla serie Balkan Walzer, considerato dall’artista un fautore di “pornografia della musica”, quale reputa l’operetta, e quindi da “picconare” metaforicamente e concretamente, con un piccone –vero- che infrange il vetro e rimane conficcato nella fronte del malcapitato.
L’immagine del rivolo del sangue è evocato da un peperoncino rosso che introduce altri temi cari all’artista, la continua commistione tra natura e artificio (frutta, oggetti di uso comune) il ricorrere a personaggi della Storia per lui particolarmente significativi, da onorare, o stigmatizzare, esprimendo in questo modo giudizi etici ed estetici sulla Cultura, sull’Arte e il ruolo dell’artista.
L’opera senz’altro difficile da dimenticare è Heralds of post history,1997-2015 esposta alla Triennale di Milano nell’ambito della mostra Arts and Food a cura di Germano Celant per Expo 2015: 1.500 noci di cocco sormontate da trombe e le foto di Kafka, Malevic e Tesla, tre intellettuali che, dalle parole stesse dell’artista “hanno rivoluzionato la cultura del loro tempo con la loro creatività, portando nuovi suoni che hanno il sapore dell’esotico”. Araldi del diverso, dell’inaspettato, come suggerisce la scelta della noce di cocco, contrapposta anche esteticamente con la sua esteriorità opaca al nitore degli strumenti musicali.
Aprono il percorso alla GAM i Casual Passers-by (Passanti incontrati casualmente) della fine degli anni Sessanta e dei primi anni Settanta: gigantografie e sculture di persone sconosciute che in origine l’artista colloca in sedi prestigiose come le facciate dei palazzi o il centro delle piazze, rovesciando l’uso degli strumenti di informazione pubblica come i cartelloni pubblicitari. Dimitrijević celebra la persona comune, in uno spirito vicino alla contestazione di quegli anni. L’artista anticipa così l’attenzione verso soggetti partecipativi della nostra era digitale, capaci di reinventare una società plurale e corale.
L’esposizione ripercorre le fasi principali della sua carriera artistica, iniziata nel 1969 con Accidental Sculpture, Painting by Krešimir Klika e Sculpture by Tihomir Simcic, tre opere apparentemente “accidentali” (un cartoncino di latte schiacciato e un mucchietto di gesso sparso sull’asfalto da due ignari automobilisti e un’impronta lasciata da un pensionato nell’aprire una porta) ma provocate dallo stesso Dimitrijević, che chiese agli sconosciuti di firmare i lavori, trasformando un gesto involontario in opera d’arte, e affidando a persone comuni il ruolo di artista. Dalla metà degli anni Settanta Dimitrijević sviluppa una serie di opere dal titolo Tryptychos Post Historicus che incorporano al loro interno altre opere ottenute in prestito da collezioni museali quali la Tate Gallery, il Louvre, il Musée d’Orsay, il Centre Pompidou e il Solomon R. Guggenheim Museum. Capolavori della storia dell’arte sono accostati a strumenti musicali, oggetti di utilizzo quotidiano ed elementi organici come frutta e verdura.
Nel 1998 le installazioni con animali vivi, evocate in mostra con la serie fotografica Culturescapes, fecero improvvisamente il giro del mondo, quando inaugurò una mostra in uno zoo di Parigi con leoni, tigri, coccodrilli e molti animali che fu visitata da un milione di visitatori e presentata sulla CNN.
La mostra è accompagnata da un catalogo a cura di Danilo Eccher che ci restituisce la dimensione filosofica dell’artista, autore di più di 800 aforismi che diventano chiavi di lettura di molte delle opere esposte e in generale della sua ricerca artistica, performativa e concettuale, non priva di decodificazioni giocose:
“Il louvre è il mio studio la strada il mio museo”;
“Se dalla luna si guarda giù alla Terra, non esiste praticamente alcuna distanza tra il Louvre e lo zoo”;
“La storia è sempre rappresentata dal kitsch, la post –storia dall’arte”…
L’aforisma che tuttavia ci pare meglio rappresentare il suo universo etico ed estetico è individuabile nell’affermazione -quasi un manifesto concettuale-:
Non sono un creatore di oggetti, ma un creatore di visioni.