“Ho vissuto alla ricerca dell’armonia nascosta nel creato” Mario Giansone e la poesia della scultura diretta.
Entrare nel mondo di Mario Giansone vuol dire imbattersi in un grande scultore, artista poliedrico dalla elevata sapienza tecnica, indiscutibile talento (generosamente trasmesso nell’insegnamento dal 1956 al 1985 a generazioni di studenti dell’Istituto Statale d’Arte diretto da Italo Cremona) e grande eleganza formale.
Un’arte la sua, va detto, di difficile collocazione storico – artistica, che spazia dalle citazioni egizio-babilonesi a certe espressioni dell’Informale, dalle evocazioni orientali a quelle romaniche, che parla di una vasta ed estesa cultura visiva e musicale, e che ha nel processo esecutivo la sua cifra più originale e tecnicamente alta: Giansone infatti è da annoverare nel gruppo degli scultori “diretti”, cioè di quelli che non utilizzano bozzetti né gessi preparatori e che compiono quindi processi “irreversibili”(sulla pietra, sul legno, sul bronzo) per quanto riguarda la genesi della composizione e la sua esecuzione.
Un vero protagonista della Torino artistica del nostro recente passato che ha operato scelte personali in controtendenza con la logica di mercato e per questo è rimasto misconosciuto ai più, ma a cui oggi, seppur in ritardo, va doverosamente restituito il giusto ruolo nel panorama artistico italiano e internazionale.
Nato a Torino nel 1915, dopo aver frequentato il Liceo dell’Accademia Albertina di Torino collabora come assistente nello studio dell’affermato scultore Michele Guerrisi. Nel corso degli anni ‘50 espone alle Quadriennali di Torino e di Roma con crescente successo come testimonia la committenza della scultura di Santa Cecilia per l’Auditorium RAI di Torino e la presenza di sue opere in prestigiose collezioni private torinesi. Anche la Galleria Civica d’Arte Moderna di Torino acquista in quegli anni due sue sculture. Dopo la pubblicazione della sua prima monografia, con testo del critico d’arte Giuseppe Marchiori, segue, nel 1965, la sua prima – e unica – personale alla Galleria “La Bussola” di Torino.
Un carattere non conciliante gli fa rifiutare l’invito alla Biennale di Venezia del 1966 e la possibilità di approdare alla prestigiosa vetrina di Peggy Guggenheim “innamorata”, per sua stessa ammissione, di un’opera dello scultore, La cancellata degli Ideogrammi plastici sul tema del Jazz. Muore a Torino nel 1997.
E’ dunque “il risveglio della memoria” il meritevole intento delle due mostre dedicate al maestro; la prima, “L’Armonia Nascosta”, a cura di Marco Basso, rientra nel cartellone del Jazz Festival di Torino ed è promossa dall’Associazione Archivio Storico Mario Giansone. Allestita negli spazi del Piano Nobile e dell’ex teatro del settecentesco Palazzo Saluzzo Paesana sino al 26 maggio, indaga alcuni dei temi cari all’artista: il jazz, espressione del dinamismo del suono e del ballo, la brutalità della guerra, il fascino delle innovazioni tecnologiche del ‘900, i gatti, colti nell’eleganza delle forme, le donne, espressione di delicato intimismo. Nelle oltre 35 sculture, 50 quadri e 4 arazzi in cui si snoda il percorso espositivo emerge l’estetica dell’artista, una ricerca esasperata di una coerenza formale, il dialogo con la materia, la transizione dall’informale al formale: un incastro di vuoti e pieni che genera un diverso ideale, sempre coerente, con luci e ombre che, diversamente direzionate, consentono alle sue opere di trasformarsi e apparire in costante evoluzione nello spazio.
Raffinatissima operazione quella di aver voluto riprodurre l’allestimento della mostra del 1965 della galleria La Bussola da lui stesso ideato con l’uso dei tubi Innocenti a disegnare un fitto reticolato – allo stesso tempo sostegno alle opere e alle luci e inquadramento del campo visivo – in cui le opere punteggiano lo spazio al pari di elegante partitura.
Parallelamente lo spazio espositivo di piazza Solferino del Gruppo Ersel presenta sino al 20 maggio “La Donna della Domenica”, un ulteriore omaggio a Mario Giansone, curato da Guido Curto, che nel titolo rimanda ad un caposaldo del romanzo italiano del ‘900 scritto da Fruttero&Lucentini.
Per gli estimatori del libro, una ulteriore emozionante rivelazione: quella di apprendere che la scultura di donna realizzata in marmo rosa del Portogallo e onice e definita dall’emblematico titolo è stata scolpita ben sette anni prima della pubblicazione del romanzo. È quindi assolutamente verosimile, come apprendiamo dalle parole stesse della figlia di Carlo Fruttero, che questo titolo abbia ispirato quello del romanzo, non a caso ambientato in una Torino intellettuale e borghese tra la fine degli anni 60 e inizio ‘70, popolata di gallerie, critici d’arte, architetti e, naturalmente, donne eleganti e indimenticabili.
La mostra rimarrà aperta fino al 25 maggio.