La mostra inaugurata alla galleria ArteRegina e visitabile sino al prossimo 2 luglio restituisce un interessante spaccato dell’ampia produzione pittorica di Adriano Parisot (1912-2004), con opere che indagano in particolare il periodo dal 1947 al 1954.
Benché le sue prime opere risalgano al 1926, l’esordio di Parisot a Torino avvenne solo nel 1946 con una personale alla galleria Faber e nel 1947 alla galleria La Bussola, dopo aver conosciuto l’esperienza della guerra, prima in Africa e successivamente nella seconda guerra mondiale.
Subito iniziano le partecipazioni nazionali alla Quadriennale di Roma e alla Biennale di Venezia, anch’essa interrotta per ben sei anni. Di questo periodo i primi contatti con artisti ed intellettuali milanesi: nel ’51, su invito di Soldati, Parisot entra a far parte del MAC (Movimento d’Arte Concreta) milanese, formato da Dorfles, teorico del movimento, Munari, Regina. L’anno successivo inizia una nuova avventura intellettuale e organizza nel suo studio di via Santa Giulia la sede torinese del MAC, a cui aderiscono Annibale Biglione, Sergio Galvano (che redige il manifesto del gruppo subalpino), Filippo Scroppo, Carol Rama e Paola Levi Montalcini.
Il MAC nasceva come un gruppo aperto e pluralista, diffuso in tutta Italia, un sodalizio di artisti tra loro diversi (incluso un giovane Fontana), uniti dalla comune appartenenza alla linea dell’Astrattismo e Concretismo europei, in polemica con le tendenze neocubiste, neorealiste e figurative della fine degli anni ’40.
E’ il critico Alberto Rossi, in occasione della mostra “Pittori concreti di Milano e Torino”, organizzata nel novembre 1952 alla Saletta Gissi, a meglio chiarire le differenze tra pittura astratta e pittura concreta: nella prima il punto di partenza è sempre un certo dato naturale che è desunto dalla natura o dall’interpretazione di essa; la pittura concreta invece aspira a creare degli oggetti del tutto indipendenti da ogni ricordo o allusione alle cose; al massimo si può ricorrere alle forme della geometria, intese come simboli di concetti.
Le sue opere del periodo esposte in mostra parlano di una dimensione dinamica applicata alla pittura, fatta di linee in tensione – “le parabole” – campiture nette che richiamano il futurismo di Legér, incastri, strutture geometriche che già alludono alle opere del periodo successivo, più “meccanomorfe”, come le definisce Mirella Bandini.
Dal ’49 al ’69 Parisot fu anche direttore di redazione della rivista “I 4 Soli”: edita ad Alba, divenne una delle grandi avventure culturali dell’Italia del dopoguerra, strumento prezioso di informazione sulle vicende artistiche europee ed americane contemporanee, con redazioni a Roma (con la direzione di Enrico Prampolini) a Venezia (Emilio Vedova) e a Parigi (Pierre Restany).
Tra le varie esperienze in Italia e in Europa, soprattutto a Parigi dove visse diversi anni con la moglie Ada e dove la sua arte ha avuto maggiori riconoscimenti rispetto all’Italia, piace qui ricordare la partecipazione alla “comunità degli artisti” che si riunivano intorno alla figura del critico Michel Tapié, il cui ruolo nodale nella Torino intellettuale degli anni 60-70 è in questi giorni ricordato, seppur indirettamente, grazie alla mostra Gioielli Vertiginosi attualmente in corso a Palazzo Madama, dedicata alla produzione orafa di Ada Minola, direttrice dell’International Center of Aesthetich Research (ICAR), centro culturale fondato a Torino nel 1960 proprio grazie all’iniziativa del critico francese. E’ del 1973 la personale di Parisot all’ICAR, con una bella presentazione di Tapié dal titolo “Une aventure picturale”.
Il critico acutamente scrive: “l’opera di Parisot, presa nell’insieme dopo una ventina d’anni, testimonia rigorosamente l’avventura nazionale essenziale della pittura fuori dai classicismi, con una apertura totale su possibilità vertiginose […] Parisot ha dato un prezioso contributo all’astrazione lirica in un momento in cui troppi restavano nello stadio di un espressionismo apparentemente astratto”.
L’artista continuò a produrre sino a tarda età nel suo buen retiro di Cerreto, in grande e laborioso isolamento.