Secondo Michel Foucault, intellettuale francese di primissimo piano, “La storia è quella che trasforma i documenti in monumenti”. Malgrado la forza apodittica della citazione, la mostra Ri-Creazioni allestita da Camera, Centro Italiano per la Fotografia, fatta dall’artista Mario Cresci, contraddice e ricolloca l’idea di possibile trasformazione del documento in monumento. Il non essere uno storico, ma un artista di grande cultura, che utilizza il linguaggio fotografico come strumento per indagare la realtà, ha fatto sì che l’invito a rileggere e ri-creare i materiali dell’Archivio Fotografico Eni, attraverso la sensibilità del suo sguardo, sia approdato ad una mostra imprevedibile e affascinante articolata in sei sale, ciascuna di esse dedicata a un tema.
E’ riuscito nuovamente a sorprenderci ?
Non so, spero di sì. E’ un lavoro fatto su misura, con pochi mesi per prepararlo, per cui mi sono impegnato a fondo. Il commitente è l’Eni, ed è molto interessante perché si apre un rapporto tra una realtà imprenditoriale e il mondo dell’arte. Non volevano fare una mostra sull’Eni, mi hanno lasciato ibero di lavorare sulle impressioni di un archivio immenso. Un intero edificio a Pomezia, come se ci fosse la storia d’Italia, da Mattei in poi. Lì ho scoperto Lauro Messori, un geologo che negli anni ’60, andava in Iran e faceva l’esploratore, cercava i luoghi per i pozzi di petrolio, ho trovato un materiale eccezionale molto ben documentato, con tutto segnato, luoghi, orari, un primo impatto davvero felice. Dalle sue foto è venuta fuori una lunga installazione di 43 metri che corre sulla parete del corridoio.
Il secondo aspetto che volevo considerare era non soffermarsi solo sul passato, ma cosa è l’Eni oggi. Oggi prevale l’aspetto innovativo e tecnologico. Hanno un centro di ricerca a Novara dove sperimentano materiali nuovi, luminosi, detti lsc, – utilizzati in mostra – assorbono luce e trasmettono energia. Ho conosciuto gli inventori, giovani, molto capaci una sorpresa.
Dopodiché ho lavorato sulla ricerca storica e sul piano dell’attualità. Non è una vera mostra personale, ho preferito lavorare usando il pretesto del titolo ri-creazioni, significa che un archivio storico può essere rivissuto in termini contemporanei a seconda di chi lo utilizza.
C’è come un cerchio che chiude tra la prima stanza e l’ultima.
Vero. Una mostra deve proporre non solo delle belle foto, ma raccontare senza essere descrittivi, provare a interpretare una riflessione che dovrebbe spingerci ad una riflessione sulla natura: l’importanza dell’aria, dell’acqua, un messaggio positivo ma anche di all’erta. Insomma gli elementi primi che ho proposto nell’ultima sala, partendo dalla pietra lavica che invece apre il percorso. E poi il mare, che in questo momento è un luogo di tragedia.
L’Eni non compare mai in questa mostra, nemmeno con un logo o altro.
Questo è vero. E’ un’azienda che sta tentando un’innovazione, che sta cambiando. Ho piegato in fogli le foto dei pozzi di petrolio, sono foto che ho preso dall’archivio e le ho utilizzate con una linguaggio altro.
Volevo innestare una dimensione del gioco per la mostra, qui Camera ha una parte didattica per i bambini. Un modo per coinvolgere il pubblico.
Questa mostra è esportabile ?
Non credo, è un’unicum. Difficile spostarla, costruita sala per sala, anche se alcune opere potrebbero andare da sole.
E le foto fatte con lo scanner ?
Sono scansioni dirette, poi in post produzione l’immagine diventa come creta, un tempo non si poteva fare, i rayographs erano piatti, Man Ray per ottenere degli effetti metteva dei vetri nell’ingranditore. Quando è nato è il digitale mi sono sentito liberato, anni e anni di camera oscura, non ne potevo più, credo che l’analogico diventerà di nicchia come l’incisione.
Io preferisco questa modalità del digitale. Le pellicole di un tempo non ci sono più, erano ricche d’argento, oggi impensabili, troppo costose.
Mi ricordo le pellicole che utilizzavano al National Geographic, erano kodak americane fatte fare apposta solo per loro, a bassa sensibilità. La nitidezza e la qualità cromatica superiore che ne ricavavano imponevano le loro foto davanti a tutti. Talvolta arrivavano degli stock di pellicole in svizzera e c’era chi faceva di tutto per procurarsele.
Foto di Fulvio Bortolozzo [ http://borful.blogspot.it ]