Nella sua precedente mostra personale alla Galleria RoccaTre, Mario Surbone aveva presentato un’antologica che metteva a confronto da un lato esempi notevoli della sua ricerca degli anni ‘60/’70 (dalle esperienze informali a quelle astratte monocrome con superfici incise) e dall’altro il ciclo più recente di opere degli anni 2000, le cui forme concretamente sagomate sono animate da una articolata dialettica fra elementi geometrici e organici, e da raffinati interventi cromatici. Un’esposizione che dava un’indicazione complessiva degli aspetti più significativi della visione poetica dell’artista.
In questa occasione, invece, l’attenzione è concentrata tutta sugli Incisi, e cioè sul lungo ciclo di lavori che inizia nel 1968 e si sviluppa nel decennio successivo, con variazioni e evoluzioni sempre coerenti a una fondamentale concezione di fondo che arriva a un punto di essenzialità e tensione plastica quasi minimalista.
In questa fase cruciale l’artista interviene strutturalmente sul piano della ridefinizione e reinvenzione dello spazio fisico della rappresentazione pittorica attraverso il superamento dei confini classici della bidimensionalità. Surbone mette in gioco il vuoto all’interno del quadro ritagliando forme in positivo o negativo, e tagliando la superficie con fenditure geometriche e con precise incisioni di articolata ritmicità. Emergono così, sui supporti di cartone o di metallo rigorosamente monocromatici (bianchi, blu, gialli , rossi), ben studiate combinazioni di tagli che danno vita a configurazioni con andamenti ortogonali, diagonali, a zig-zag, a croce, o con modulazioni sequenziali.
Nel catalogo della recente importante mostra di questi lavori dell’artista al Palazzo delle Stelline di Milano, la curatrice Elena Pontiggia ha scritto: “Surbone appartiene a quella famiglia di artisti che muovendo autonomamente dalla lezione di Lucio Fontana,e poi dal gruppo Azimuth, hanno lavorato non sulla tela ma con la tela (nel suo caso: non sulla superficie ma con la superficie)”.
Il riferimento ai tagli di Fontana è d’obbligo, ed è giusto anche indicare un collegamento con le superfici estroflesse/introflesse di Castellani, e poi di Bonalumi e di Scheggi, ma non bisogna dimenticare certe relative tangenze con l’area delle ricerche neo-costruttive e programmate (che anche a Torino aveva esponenti significativi come Mosso, Nuzzolese, Sesia, Nelva, Rotta Loria, e per certi aspetti anche De Alexandris).
Testo di Francesco Poli