Sono nato, cresciuto e tutt’ora vivo a Torino, ma metà del mio sangue ha origini “nursine”. La famiglia di mia mamma, infatti, è di Norcia. Ricchi proprietari terrieri fino al mio trisnonno Filippo; poi i tempi sono cambiati, le ricchezze dissipate, i rami dell’albero genealogico sono fioriti in altre città. Nel centro storico di Norcia, però, è ancora possibile ammirare il massiccio Palazzo Scaramucci edificato nella seconda metà del 1600: testimonianza concreta di una presenza che ha lasciato il segno.
Il primo degli Scaramucci a tornare a Norcia fu mio nonno Giuseppe, che passò la vita ad infornare il suo pane, e l’ultimo della dinastia rimasto nella città di San Benedetto è mio zio Aleandro. Di sei fratelli è l’unico a non aver mai abbandonato la sua “Vetusta Nursia”, nemmeno dopo i terremoti del 1956, del 1971, del 1979, del 1997… e, ancora, quello dello scorso 24 agosto. Ma il 30 ottobre ha preso con sé poche cose, è salito in auto e ha raggiunto mia madre a Torino. La paura ha preso il sopravvento, dopo che Norcia si è piegata alla violenza di una scossa brutale che ha raso al suolo anche la magnifica Basilica di San Benedetto. E Aleandro Scaramucci ha fatto come tanti altri suoi concittadini: se n’è andato.
Questi eventi mi hanno colpito. Molto. Ecco perché, a due settimane dal sisma, ho voluto accompagnare a Norcia mio zio per recuperare un po’ di effetti personali, constatare l’entità dei danni subiti e prendere contatti con il Centro Organizzativo Comunale per l’assegnazione della cosiddetta unità abitativa. La maggior parte delle abitazioni, compresa quella di mio zio, non è infatti agibile. E sicuramente non lo sarà per i prossimi mesi.
Volevo vedere con i miei occhi, e non più con quelli dei telegiornali, come fosse realmente la situazione. Quale fosse l’atmosfera di un luogo che io ho sempre vissuto nei periodi estivi, affollato di turisti e con gli irresistibili profumi delle succulente norcinerie. Con la piazza San Benedetto e il corso Sertorio nei quali si spandeva l’allegro chiacchiericcio nella tipica cadenza musicale umbra. Immaginavo di non trovare nulla di tutto questo, e così è stato.
Norcia è una città fantasma. Le case sono chiuse, disabitate. Per le strade circolano decine di mezzi di soccorso, e tra questi spiccano quelli rossi dei Vigili del Fuoco. Sono tantissimi. Poi ci sono i Carabinieri, la Polizia, la Protezione Civile. Le mimetiche dell’Esercito. Sono state allestite le tensostrutture per ogni genere di attività: dal già citato Centro Organizzativo, alla mensa che offre pranzo e cena a tutti. Anche l’ospedale ha una dependance esterna, perché qui le scosse sono quasi quotidiane. Più leggere, certo, ma continue. Si vive in continua emergenza, ma tutto è gestito con calma e ragionevolezza.
Tutti hanno rispetto di tutti. I cittadini stanno dimostrando una forza di volontà invidiabile e una pazienza che sembra un misto di rassegnazione e tristezza per tutto ciò che è andato perduto. Magari dopo essere già stato ricostruito in seguito ai forti terremoti del passato. Sanno bene che ci vorrà molto tempo per tornare alla normalità, ma i norcini sono gente tosta, gente di montagna che ha sempre messo in pratica la regola di San Benedetto: quell’ora et labora che, 1500 anni fa, per certi versi aveva cambiato il mondo.
Nonostante ci sia sempre la tendenza a screditare tutto e tutti, soprattutto nel nostro Paese, posso dire che, a Norcia, ho visto un’Italia che funziona, ho visto un sistema organizzativo e assistenziale che sta gestendo un’emergenza in modo encomiabile. Ho visto gli italiani che amano la propria terra e che amano se stessi.
Luca Gastaldi