Concettuale ma non troppo, rigoroso e tuttavia profondamente poetico, capace di comunicare un sublime senso di infinito anche fotografando spazi chiusi, Luigi Ghirri è uno di quelli che hanno fatto la storia della fotografia del Novecento, grazie anche al respiro mistico delle sue immagini vibranti, a quel suo personalissimo dialogo con dio. Spesso in bilico sull’orlo dell’astrazione, non arriverà mai, però, al compiacimento sensuale di un Franco Fontana, preferendo emozionarci in punta di piedi, sussurrando. E sono proprio dei sussurri gli scatti raccolti da Giovanni Bonelli per la mostra inaugurata giovedì scorso a Milano.
Quasi una rieducazione per occhi oramai abituati a immagini aggressive, incombenti, immense e rutilanti.
Sono scatti da esplorare lentamente, indugiando con lo sguardo lungo le prospettive senza fine, isolandosi per un attimo da tutto il resto per lasciarsi catturare dal gioco di contrappunti tra la saracinesca abbassata e il muro di mattoni, tra la vecchia motocicletta e la testa del cavallo, incongruente come un’apparizione.
Accanto, a costruire un ipotetico dialogo mai avvenuto, ecco la pittura intensa e squillante con cui Andrea Di Marco, prematuramente scomparso nel 2012, a quarantadue anni, racconta la sua Sicilia.
Lontanissime dai delicati paesaggi di Ghirri – eppure così vicine nel loro essere dichiarazioni d’amore ai luoghi e alle loro atmosfere – ecco le strade incendiate di sole, i muri di un bianco abbacinante, le pietre che si intuiscono bollenti, gli ombrelloni, i colori caotici dei mercati. Così, tra un piccolo scatto malinconico e un feroce colpo di pennello, la mostra ci accarezza e ci frusta lo sguardo in un costante alternarsi di emozioni e di sensazioni.
Un dialogo non intercorso. Omaggio a Luigi Ghirri e Andrea Di Marco.
Attraversando la strada, pochi passi e si incontra Matteo Ceretto Castigliano. Della sua città, Torino, Matteo Ceretto Castigliano ha scelto le aree postindustriali dismesse, cogliendovi tutta la poesia dell’abbandono e restituendocele attraverso un linguaggio assolutamente originale rispetto a quello più tipico della street art: un minimalismo geometrico elegante e pulitissimo.
Giuseppe Pero, a Milano, ospita da giovedì una serie di suoi dipinti site-specific sulle pareti della galleria, smalti su teloni ignifughi, serigrafie che ingrandiscono le griglie delle reti trasformandole in giochi optical e un’installazione di lamiere su cui l’ossidazione ha creato interessanti giochi cromatici. Una mostra che fa l’occhiolino al grande minimalismo americano, ma condito con uno sguardo di lirica nostalgia tutto europeo, sguardo enfatizzato dalle fotografie di Marco Schiavone, che documenta il lavoro del collega e le trasformazioni delle fabbriche e degli altiforni, cannibalizzati e riconquistati dalla natura. Lasciato questo ambiente di gelida eleganza, il resto della galleria si apre alla pittura calda, carnosa e sottilmente crudele di Alessandro Bazan con la personale Divagante.
Alessandra Redaelli
Matteo Ceretto Castigliano – Marco Schiavone. Via Torino
Milano, galleria Giuseppe Pero, via Porro Lambertenghi 3
Fino al 22 dicembre
Milano, galleria Giovanni Bonelli, via Porro Lambertenghi 6
Fino al 30 dicembre