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Cristina Mundici

Intervista a Maria Cristina Mundici, membro del Comitato Scientifico dell’Associazione Archivio Carol Rama e amica dell’artista.
Olga Carolina Rama, nota come Carol Rama (Torino, 1918 – Torino, 24 settembre 2015) è una delle artiste del Novecento più interessanti e poliedriche che la storia dell’arte contemporanea abbia conosciuto.

A poco più di un anno dalla sua scomparsa Torino, la sua città natale, le dedica una mostra personale retrospettiva, che ripercorre gli oltre settant’anni della sua carriera, dal titolo The Passion According To Carol Rama, in corso alla GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino fino al 5 febbraio 2017.
In un’indagine più approfondita sulla controversa figura dell’artista torinese, dalle innegabili doti pittoriche, rivolgiamo alcune domande a Maria Cristina Mundici, storica dell’arte e membro del comitato scientifico dell’Associazione Carol Rama (insieme a Raffaella Roddolo ed Elena Volpato), colei che ha seguito l’artista negli ultimi vent’anni della sua vita, affiancandola e sostenendola non solo a livello professionale, ma anche amicale.

 

L’Associazione Archivio Carol Rama nasce nel 2010, quando l’artista era ancora in vita. Cosa pensava Carol di questo progetto?
Carol dall’estate del 2005, all’età di 87 anni, ebbe purtroppo una flessione dal punto di vista fisico e mentale, che evidenziò la necessità di una tutela legale e l’affiancamento, a lei, di persone che si prendessero amorevolmente cura di lei e la assistessero in tutte le sue necessità quotidiane. Da quel momento, anno dopo anno, Carol subirà un lento ma costante declino psichico e relazionale, seppur con una salute ferrea: per tutto il corso della sua vita Carol aveva seguito i dettami di uno zio – come lei amava ricordare – per una corretta igiene quotidiana, che favorirono il suo stato di salute anche negli ultimi tempi, quando si cibava esclusivamente di uova, gelati, omogeneizzati e spremute.
Quindi Carol non ha avuto nel 2010 consapevolezza della costituzione dell’Associazione Archivio che nasceva proprio con le due funzioni principali di tutelare e promuovere la sua produzione artistica, attraverso due azioni indispensabili di cui quella precipua è l’archiviazione delle opere e di conseguenza l’elaborazione e la redazione di un catalogo ragionato.
Mi può raccontare come si struttura il lavoro di ricerca e archiviazione delle opere?
Il lavoro si articola su più fronti, ma sempre a partire dalla visione diretta delle opere per poter emettere un’archiviazione il più seria e corretta possibile.
Innanzitutto spesso sono i proprietari dei lavori dell’artista che si rivolgono all’Archivio per l’archiviazione delle stesse. Per la redazione della “storia” di ciascun lavoro è necessario indicare la tecnica, la datazione, l’eventuale presenza di iscrizioni (collocate normalmente sul fondo o sul retro dell’opera) e – elemento molto importante – la specifica della provenienza, che risulta indispensabile per poter ricostruire i vari passaggi subiti dall’opera e rendere così il più precisa possibile la carta d’identità dell’opera stessa.
A questa fase si somma la ricerca attraverso le fonti, che possono essere cataloghi e libri o testimonianze di persone che abbiano conosciuto e frequentato l’artista. Talvolta è l’archivio che contatta direttamente i collezionisti che sa essere in possesso di opere. Quest’ultima è stata un’operazione facilitata dal fatto che nel 1998, avendo io curato una mostra personale dell’artista allo Stedelijk Museum di Amsterdam e al The Institute of Contemporary Art di Boston, avevo condotto molte ricerche presso i collezionisti dell’artista anche grazie al suo gallerista Giancarlo Salzano, grande amico e intellettuale finissimo, che seguendola dal 1980 al 2000, l’aveva introdotta nel sistema dell’arte dell’epoca. Oggi, ripercorrendo un po’ quel lavoro, faccio in modo di ricontattare i proprietari di allora per seguire le tracce delle loro opere.

Perché l’archiviazione delle opere di un’artista come Carol Rama risulta indispensabile?
Si, l’archiviazione delle opere di Carol è necessaria anche se risulta molto faticosa. Lei aveva un atteggiamento quasi feticista nei confronti degli oggetti che la circondavano, nella sua casa studio, per lei vera e propria “tana”, rifugio. Essi provenivano dalla sua famiglia, dagli amici e dagli artisti che frequentava ed erano custodi di memorie e fonti d’ispirazione per la sua ricerca artistica. Tuttavia Carol non era sistematica nel raccogliere materiale che riguardasse le proprie opere, quindi ci siamo trovati ad affrontare una ricerca partendo da una documentazione scarsa e lacunosa: motivo in più per procedere con una catalogazione attenta e scrupolosa del suo lavoro.
L’Archivio sta lavorando alla stesura del catalogo ragionato delle opere di Carol Rama. Ha una previsione sulle tempistiche di redazione?
Ho in mente di proseguire la ricerca, insieme a Raffaella Roddolo che collabora al catalogo, ancora per un altro anno con la speranza che anche coloro che sono in possesso di ulteriori opere di Carol Rama, non ancora archiviate, possano rivolgersi a noi, anche stimolati dalla risonanza della mostra in corso alla GAM e in generale dal successo riscontrato dal suo lavoro negli ultimi tempi. Successivamente ci riserveremmo ancora un anno per la sistemazione della documentazione raccolta e per la stesura di diversi testi scientifici, che possano essere inseriti nella pubblicazione. Penso infatti che il catalogo ragionato non debba essere un mero elenco di opere ordinate cronologicamente, ma un’occasione di confronto, di studio, di interpretazione, di riflessione da parte di voci diverse di esperti che a livello multidisciplinare si siano confrontati con l’opera dell’artista.

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Carol Rama nel suo studio – Ph Goffi

Lei conosceva bene Carol Rama. Era una sua cara amica. Quando ha incontrato l’artista per la prima volta? C’è un aneddoto in particolare della sua vita che ricorda con più simpatia?
Vedevo Carol Rama alle inaugurazioni di mostre in città, perché partecipava molto alla vita cittadina. Anche se ha sempre proclamato una formazione da autodidatta Carol è sempre stata molto avvertita e sensibile rispetto a tutto ciò che avveniva in ambito culturale, non solo strettamente artistico. Mi è stata presentata poi personalmente da Paolo Fossati, docente universitario con cui mi sono laureata, il quale è sempre stato un grande estimatore dell’opera di Carol Rama, curando nel 1989 un’interessante mostra a lei dedicata presso il Circolo degli Artisti di Torino. Iniziai così a metà degli anni Novanta a lavorare con lei e per lei alla mostra personale che si tenne allo Stedelijk Museum di Amsterdam nel 1998. Da quel momento ho sempre continuato a seguirla professionalmente, ma soprattutto amicalmente.
Carol era sicuramente un personaggio esplosivo, ironico e ci sarebbero molti aneddoti che si potrebbero raccontare sul suo modo di essere e di relazionarsi, ma sto tentando di ricondurre l’attenzione del pubblico più generico alle sue qualità di pittrice. Carol è sempre stata una persona singolare anche da un punto di vista comportamentale…Mi ricordo che una volta durante un’intervista affermò: “… la bocca è una parte fondamentale del corpo umano, perché è l’organo della suzione, quello con cui si bacia, ma soprattutto con la bocca puoi riuscire a raddrizzare anche una serata riuscita male, perché basta che tu abbia un buon mangiarino davanti e tutto si risolve!

Io dipingo per istinto e dipingo per passione, e per ira e per violenza, e per tristezza e per un certo feticismo, e per gioia e malinconia insieme, e per rabbia specialmente. I miei quadri piaceranno a chi ha sofferto”. Così disse Carol Rama. Lei che ben conosce tutta la produzione dell’artista, ritiene che ci sia un momento in cui questa affermazione trovi maggior riscontro?

No, devo dire che non sono mai riuscita ad associare l’opera di Carol Rama alla sofferenza dalle sue prime produzioni a quelle più recenti. Sicuramente la sofferenza per Carol Rama, come per chiunque di noi, può essere un sentimento che aiuta a crescere, a formulare delle riflessioni a cui altrimenti non si giungerebbe; credo sia un elemento di accrescimento e arricchimento anche intellettuale oltre che emotivo. Tuttavia ritengo che non sia il caso di instaurare un rapporto troppo diretto tra la sofferenza e le produzioni artistiche di Carol, in cui mi sembra ci sia un lavoro molto distillato. Carol si è concentrata per tutta la vita sulla pittura che è stata per lei la panacea di tutti i mali, il suo modo di stare al mondo. In essa si sente il piacere del dipingere e non si avvertono, a mio avviso, echi di sofferenza
Carol Rama. Il magazzino dell’anima edito da Skira nel 2014 è una raffinata pubblicazione che lei ha curato con Bepi Ghiotti. E’ evidente come la sua casa-magazzino – come Carol amava chiamarla – sia una vera e propria chiave di lettura dell’opera dell’artista. Un luogo popolato dai ricordi di tutta una vita. Pensando alla casa-studio di Carol Rama, in via Napione 15 a Torino, ha un’immagine precisa di lei al lavoro che ci vuole descrivere? Lei aveva un angolo preferito in cui amava rifugiarsi?
Nello studio Carol aveva un tavolo di legno su cui disegnava. Ho in mente quell’immagine. Aveva anche due cavalletti che utilizzava per il suo lavoro. Poi c’era un letto a barca ottocentesco, che lei utilizzava da divano, sul quale amava ricevere gli amici e perdersi in lunghe chiacchierate.
www.archiviocarolrama.org

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