Continua il trend positivo del MAO, Museo Delle Arti Orientali, che – dall’ apertura nel 2008 ad oggi – ha saputo ritagliarsi una sua precisa identità nel panorama dell’offerta culturale torinese grazie ad una programmazione dinamica, in grado di avvicinare un pubblico sempre più vasto e trasversale accanto a quello già fidelizzato e settoriale: mostre a tema, convegni d’alto livello, conferenze e attività didattica hanno affiancato in misura costante la ricca collezione permanente (più di 1.500 le opere esposte all’interno dello spazio museale, progettato per ospitare cinque diverse aree tematiche, con manufatti che provengono dall’Asia Meridionale, il Sud Est Asiatico, la Cina, il Giappone ed esemplari di arte islamica).
Non stupisce quindi in questo periodo natalizio la buona affluenza, quasi 1000 persone al giorno (e persino code alla biglietterie), anche grazie alle due ultime iniziative: l’esposizione della Grande Onda a largo di Kanagawa di Katsushika Hokusai (stampa n. 1, xilografia su carta, della serie “36 Vedute del Monte Fuji” periodo Edo, 1834 circa) pregevole esemplare di proprietà del MAO, mostrata al pubblico per pochi giorni per motivi conservativi (dal 23 dicembre al 1 di gennaio) e la mostra Le figure dei sogni. Marionette, burattini, ombre nel teatro orientale: una vera e propria prima nazionale, poiché è la prima mostra in Italia dedicata interamente al teatro di figura orientale.
In mostra 400 figure dalla collezione personale di Augusto Grilli, appassionato collezionista e fondatore della compagnia che porta il suo nome, per scoprire il mondo affascinante e complesso del teatro delle ombre, dalle marionette e i burattini cinesi a guanto o a stecca, alle indiane, nepalesi, vietnamite, giavanesi, birmane, turche e greche.
La mostra è un viaggio itinerante attraverso le diverse aree culturali per condurre il visitatore alla scoperta degli straordinari aspetti del teatro di figura. Dai più noti al grande pubblico, come il teatro delle ombre giavanesi e cinesi, a quelli meno noti, come le grandi sagome indiane, la varietà dei burattini orientali e le diverse tipologie di marionette, come quelle d’acqua del Vietnam Mua Roi Nuoc (pupazzi che danzano sull’acqua), la cui rappresentazione, che prevede l’immersione dei burattinai sino al petto in stagni, vasche portatili o in edifici privati appositamente adibiti, ebbe origine tra i coltivatori di riso ed era destinato ai momenti di riposo dal lavoro nei campi.
Notevole la sezione del teatro di figura giavanese, il Wayang Kulit, dal 2003 proclamato dall’Unesco parte del Patrimonio orale e immateriale dell’Umanità: il repertorio del teatro delle ombre giavanesi consta di quasi duecento drammi divisi in cicli e si ispira ai due grandi poemi indiani, il Mahabharata e il Ramayana.
L’ultima sezione analizza la fortuna critica del teatro di figura orientale in Europa, giunto attraverso la Turchia e la Grecia e arrivato in Italia meridionale nel XVII secolo. La fascinazione per l’esotismo e le chinoiserie erano molto in voga e l’espressione ombre cinesi divenne l’unico modo di chiamare questo tipo di rappresentazione, anche se spesso le sagome non assomigliavano per nulla a quelle cinesi. Nel 1776 si affermava a Versailles il teatro delle ombre di Seraphin, sino a decretarne il successo in tutta Europa, in particolare a Londra, in Olanda e in Germania.
Una nota di merito va all’indovinato allestimento della mostra, che riduce al minimo le vetrine per mettere in contatto diretto il pubblico con gli oggetti esposti ed è concepito come un unico contesto teatrale anche da un punto di vista dell’illuminazione, in modo da rendere vive le figure, proponendo finanche la ricostruzione di alcuni teatrini orientali e mostrando, attraverso video e documentari, l’applicazione pratica delle stesse, con musiche che sottolineano la dimensione onirica del percorso espositivo.