Dal 24 marzo scorso è Pelle conciata (1968), opera in pelo acrilico di Pino Pascali (Bari, 1935 – Roma, 1968), ad accogliere il visitatore all’interno di Casa Parravicini, suggestivo palazzo quattrocentesco, sede della Fondazione Carriero, eccellenza di produzione artistica e divulgazione culturale, nel cuore di Milano.
Si entra così in medias res nel percorso espositivo della mostra Pascali Sciamano, a cura di Francesco Stocchi, mostra che catalizza l’attenzione sull’opera dell’artista pugliese tra il 1966 e il 1968, posta in dialogo con la cultura africana e i suoi esiti formali, da cui Pascali trae ispirazione nel suo processo creativo.
Pascali è stato un artista eclettico, scultore, scenografo, performer: figura eccezionale della scena artistica italiana degli anni Sessanta e singolare esponente dell’Arte Povera.
Nel 1966 accetta l’invito del gallerista Gian Enzo Sperone ad esporre per la prima volta le sue armi – giocattolo, presso la galleria Sperone di Torino e nel 1967 presenta presso l’Attico, di Fabio Sargentini a Roma le sue prime “finte sculture”, opere in tela bianca su centine di legno.
Nel 1968 partecipa alla Biennale di Venezia e scompare all’età di 33 anni per un incidente in moto. Nella sua breve e felice parentesi artistica Pascali indaga le radici della cultura mediterranea – i campi, il mare, la terra e gli animali – calate nella dimensione ludica dell’arte e realizza opere con materiali di recupero – metalli, paglia, corde, fibre sintetiche – prelevati dalla quotidianità. Nell’ambito della sua sintesi poetica, naturale e artificiale concorrono ad imitare ed interpretare i cicli vitali e i suoi elementi con sapienza ed ironia, attivando una riflessione sul sistema socio-economico della produzione di massa.
L’esposizione, visitabile fino al 24 giugno, si sviluppa sui tre piani dell’edificio storico, giocando con le sue architetture ed evitando il confronto diretto tra le opere dell’artista e i manufatti africani (sculture funerarie, figure propiziatorie, strumenti musicali, sgabelli, maschere, monete, tutte risalenti al XIX e XX secolo). La proposta espositiva restituisce l’incanto e l’atmosfera dell’arte tribale che era parte costitutiva dell’immaginario dell’artista. Di assoluto rilievo è anche il progetto allestitivo che pone in relazione tra loro tutti i lavori di Pascali – alla maniera dell’artista – come se ciascuno di essi potesse “attivare” l’altro in una sorta di energica trama narrativa, dalle rinnovate soluzioni di forma e di segno.
Al piano terra è presentata una selezione inedita di “finte sculture”, strutture leggere di legno e tela dipinta, dai profili fortemente riconoscibili, che giocano con il concetto di scultura imitandone i materiali. Animali ed elementi naturalistici si incontrano a formare scenografie favolistiche: due cigni, un pellicano, un serpente, uno scoglio, qualche bambù e un bucranio – motivo ornamentale architettonico dell’età antica che riproduce un cranio di bue – dimostrano la particolare attenzione dell’artista nei confronti della mitologia e del racconto popolare.
Pur non essendo mai stato nel continente africano, Pascali era attratto da quella cultura animista fatta di energie ancestrali: era affascinato dall’essenza primitiva dell’essere in comunione con i cicli vitali della natura e proprio come uno “sciamano” mediava tra questa e l’incalzante produzione industriale in serie.
Al primo piano, nelle due sale principali sono allestite 6 opere che ben si inseriscono nel ciclo della Ricostruzione della natura, iniziata nel 1967. Liane (1968), un grande fungo peloso (Pelo/Contropelo, 1968), un imponente cesto di lana di ferro (Cesto, 1968) ed un cavalletto con rafia (Senza titolo-Cavalletto, 1968) – opere della collezione della Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma – con alcuni bachi da setola occupano prepotentemente lo spazio e catturano la curiosità dello spettatore.
La mostra prosegue al secondo piano nella grande sala situata all’interno dell’adiacente palazzo Visconti, comunicante con Casa Parravicini. Qui lo spazio espositivo è connotato da pareti e soffitti decorati con affreschi dei primi del Novecento che imitano le decorazioni del XVII secolo: 5 imponenti bachi da setola multicolore e un bozzolo – di tela e colla, ricostruito per l’occasione – concludono il percorso in un eccezionale momento di sintesi tra antico e contemporaneo.
Il progetto espositivo è stato realizzato grazie ai prestiti provenienti da prestigiose istituzioni pubbliche quali la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, il Museo Nazionale Preistorico Etnografico Luigi Pigorini di Roma e la Pinacoteca di Arte Moderna di Avezzano e importanti collezioni private.
Sarà presto disponibile un catalogo (italiano e inglese), edito da Fondazione Carriero e curato da Francesco Stocchi, con contributi di Guglielmo Lisanti, collezionista di arte africana, e Emanuele Trevi, scrittore e critico letterario. Arricchiscono il volume inedite testimonianze di artisti e critici che hanno conosciuto e frequentato Pascali, tra i quali Alberto Boatto, Achille Bonito Oliva, Vittorio Brandi Rubiu, Giosetta Fioroni, Piero Gilardi, Toni Maraini, Eliseo Mattiacci, Anna Paparatti, Luca Maria Patella, Paola Pitagora, Tommaso Trini, Lorenza Trucchi.
In occasione della mostra, le opere provenienti dalla Galleria Nazionale di Roma sono state restaurate grazie all’intervento della Fondazione Carriero, a sottolineare il grande impegno di valorizzazione culturale da essa profuso.
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