In conversazione con Pinuccia Sardi, Presidente della Fondazione Sardi per l’Arte.
Torino, città capitale dell’arte contemporanea con spazi espositivi, pubblici e privati, d’eccellenza come il Castello di Rivoli, Museo d’Arte Contemporanea, la Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea, la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, la Fondazione Merz, la Pinacoteca Agnelli, il Museo Ettore Fico, dal 2014 vede l’istituzione di una realtà nuova, la Fondazione Sardi per l’Arte, che dà spazio alle idee degli artisti e degli operatori dell’arte in una dimensione intima, ma concreta.
Al n. 8 di Corso Re Umberto ci accoglie, nella sede della Fondazione, la Presidente Pinuccia Sardi, donna di grande energia e sensibilità, esperta d’arte e già gallerista. Splendide opere di Carol Rama e Carla Accardi alle pareti e una passione che si respira nell’aria. A lei abbiamo rivolto alcune domande.
- Ci può raccontare qual è stato il suo lungo percorso professionale fino ad oggi?
Sono stata un’appassionata d’arte da sempre. All’inizio degli anni Settanta sentii la necessità di aprire una mia attività e finalmente nel 1975 inaugurai lo studio Grafica Internazionale che è stato attivo per ventitré anni fino al 1998. Contemporaneamente, dal 1978 al 1992, mi fu accordata dagli eredi la prelazione per l’Italia e alcuni paesi d’Europa, sull’acquisto di opere di George Grosz che venivano messe in vendita due volte l’anno a New York. Acquisii un fondo di opere e mi occupai nel tempo di promuovere l’artista con pubblicazioni, mostre o fiere come Art Basel. In quegli anni curai anche edizioni di grafica di artisti già affermati e riconosciuti come Pierre Alechinsky o Marino Marini con quest’ultimo ho collaborato fino al 1980, anno della sua scomparsa. Ovviamente questa attività mi consentì di stringere anche relazioni con istituzioni importanti come la Henry Moore Foundation per una serie di grafiche dell’artista inglese. La mia clientela era costituita principalmente da grandi aziende italiane come la Fiat e da istituti bancari come San Paolo e IMI. Contemporaneamente ad artisti internazionali mi dedicai anche ad artisti attivi sulla scena torinese e piemontese. Mario Calandri, un caro amico, che nel 1988, realizzò per me una cartella a tre incisioni con la presentazione di Leonardo Sciascia che era un grande appassionato di grafica e che io conobbi a Milano anni prima. Per l’occasione li presentai e tra i due nacque un’amicizia e una reciproca stima. E’ stato bello aver favorito quell’ incontro.
Dopo Calandri decisi di collaborare con altri artisti che appartenevano allo stesso entourage culturale: Soffiantino, Saroni, Tabusso, dar loro visibilità o favorirne le pubbliche relazioni. Seguendo questa idea, ogni due o tre anni presentavo una cartella di grafiche e per l’occasione organizzavo anche una festa. Era un modo per lavorare certo, ma anche organizzare momenti piacevoli.
La mia esperienza professionale con la grafica si concluse come dicevo nel 1998 anche se nel frattempo, nel 1994, nasceva, in collaborazione con Angelo Bottero, la galleria Carlina. L’attività di galleria, durata quasi vent’anni, fino al 2013 mi ha permesso di cimentarmi con l’arte e con il pubblico in maniera più diretta e forse meno tecnica rispetto a quanto avessi esperito in precedenza. In quel momento, ne sentivo davvero la necessità.
Sono stati anni molto interessanti con continue e proficue relazioni con artisti, collezionisti e operatori del settore oltre a tante mostre gratificanti. Ricordo con piacere la mostra personale di Joan Mirò, che comprendeva opere inedite e grafiche rare. Le scolaresche facevano a gara per visitarla, episodio che purtroppo non si è più verificato.
In galleria abbiamo esposto, tra le altre, anche opere di Fausto Melotti, Carla Accardi, Aldo Mondino, Alighiero Boetti. In particolare di Boetti negli ultimi anni di attività avevamo anche curato la pubblicazione di un catalogo monografico. Tra tutti, il lavoro più continuativo è stato con Carol Rama, amica e artista eccezionale. Conobbi Carol nel 1975 e da quel momento ci siamo sempre frequentate. Quando inaugurammo la galleria iniziammo a promuovere il suo lavoro attraverso mostre, fiere e pubblicazioni.
Dopo vent’anni di attività, nel 2013, si concluse anche l’esperienza della galleria, perché a quel punto sentivo l’esigenza di dedicarmi a quello che per me è sempre stato un grande desiderio: aprire una fondazione d’arte che avesse la “missione” di promuovere e valorizzare la produzione artistica.
- La Fondazione Sardi per l’Arte nasce, quindi, nel 2014. Con quali obiettivi programmatici e quali modalità d’azione? Come è nata l’idea di istituire una Fondazione? Come è strutturata nell’organigramma?
La Fondazione opera in favore della tutela, della promozione e della valorizzazione dell’arte moderna e contemporanea favorendo il recupero di documenti e archivi d’artista oltre alla produzione di opere d’arte e progetti curatoriali ed editoriali, in ambito nazionale e internazionale.
Nasce dalla mia passione per l’arte e dalla necessità di concentrarmi su una dimensione più intima e protetta d’indagine, volta a focalizzare l’attenzione sull’opera forse ancor più sull’artista. Mi avvalgo di fidati collaboratori come Angelo Bottero, già socio della Galleria Carlina e oggi vicepresidente della Fondazione, le storiche dell’arte Maria Cristina Mundici e Raffaella Roddolo – impegnate da circa tre anni nella redazione del catalogo ragionato di Carol Rama finanziato dalla Fondazione in collaborazione con l’Archivio Carol Rama. Su singole produzioni collaboro con Lisa Parola, critica d’arte e giornalista, che si dedica alla curatela e alla promozione del contemporaneo.
Per quel che concerne l’attività, il primo progetto sostenuto dalla Fondazione ha visto la pubblicazione, proprio nel 2014 con Skira editore, di un libro intitolato Il Magazzino dell’anima e dedicato alla casa-studio di Carol Rama. Un volume a cura di Cristina Mundici e di Bepi Ghiotti, fotografo d’eccezione che con le sue immagini ha sapientemente documentato gli ambienti di abitazione e di lavoro dell’artista. Un progetto ideato e realizzato quando Carol purtroppo iniziava a non stare bene, con la finalità di poter tutelare un luogo – opera d’arte in sé – e la sua memoria.
Inoltre possiedo un fondo di opere significative di Carol Rama che negli anni ho fatto veicolare in gallerie e istituzioni europee finchè, grazie alla gallerista Isabella Bortolozzi, è nata anche l’opportunità con il MaCBA di Barcellona. Produrre cioè una mostra itinerante sull’opera dell’artista dal titolo La passione secondo Carol Rama. Dopo essere stato ospitato in diverse sedi museali in Europa, il progetto espositivo si è concluso alla GAM di Torino nel febbraio scorso, accompagnato dall’edizione italiana del catalogo supportato dalla Fondazione.
Finalmente l’opera di Carol Rama sta acquisendo il lustro che merita!
A tal proposito vorrei segnalare due mostre importanti, dedicate all’artista e inaugurate di recente: una al New Museum di New York con la curatela di Massimiliano Gioni (Antibodies, 3 maggio – 10 settembre 2017) e l’altra, in occasione della 57° Biennale di Venezia, presso il Palazzo Ca’ Nova, a cura di Maria Cristina Mundici e Raffaella Roddolo (Spazio anche più che tempo, 8 maggio – 28 giugno 2017).
Tra gli altri progetti finanziati mi piace ricordare il seminario di xilografia presso l’Accademia Albertina di Torino, sotto la direzione e il coordinamento di Franco Fanelli, abbinato al corso di tecniche dell’incisione per l’anno accademico 2013-2014. E’ stata un’esperienza formativa d’eccellenza con docenti che provenivano anche da altre università italiane. Inoltre, nell’autunno del 2015 la Fondazione è intervenuta a sostegno della pubblicazione del catalogo della mostra «PanoRAMA», a cura di Olga Gambari, allestita in sei gallerie del quartiere Vanchiglia: artisti contemporanei hanno dialogato fra loro e con la figura di Carol Rama, attorno al suo luogo di residenza.
Nel 2016 la Fondazione Sardi ha inoltre prodotto, con la curatela di Lisa Parola, la serie fotografica composta da 84 elementi, Remains of what has not been said dell’artista turca Fatma Bucak ideata ed esposta per la mostra personale And men turned their faces from there, presso la galleria americana David Winton Bell di Providence, Rhode Island, di cui meglio le illustrerà Lisa Parola.
L’installazione è composta da una serie di fotografie ottenute secondo un processo temporale che ha previsto la raccolta e catalogazione quotidiana dei principali giornali turchi che riportavano la data del 7 febbraio 2016: una data che segna uno stato di paura e tensione, una costrizione che ancora oggi sta attraversando tutte le regioni turche, soprattutto quelle dell’Est. Una cornice di violenza che l’Europa continua a rimuovere. I giornali raccolti nel corso di 84 giorni hanno trovato una prima formalizzazione visiva in un’azione performativa – e privata – nella quale due donne curde e l’artista stessa vengono riprese mentre lavano quelle pagine rendendole opache e dunque prive di contenuto. A quel fare è corrisposta poi una serie fotografica nella quale, per altre 84 volte l’acqua sporca è stata raccolta in contenitori di vetro che le mani dell’artista porgono verso il pubblico. Ogni scatto riporta solo una data ma sulla superficie trasparente dei recipienti si riflettono i particolari dell’ambiente nel quale le immagini sono state scattate. Finestre, ombre, luci. Con evidenti riferimenti pittorici, questa traslazione tra una data, una superficie opaca e il riflesso dello spazio è la questione che solleva l’artista. “Comunicare significa conoscere?” pare chiedere l’artista “E come fare a mettere in dialogo l’arte con quello che sta accadendo in questi mesi in Turchia, sulla scena della geografia del nord Africa e quella globale?” ma soprattutto: “Quale è il ruolo dell’arte e dell’artista in questi decenni di gravi violenze e violazioni di diritti?”. Il lavoro di Fatma Bucak prova a rispondere a questi interrogativi e a queste domande alle quali è sempre più difficile dare una risposta ma che a partire dal primo decennio del Duemila sono divenute oggetto di numerose ricerche di artisti e curatori che a vario titolo sono intervenuti su tematiche quali la politica, la comunicazione, la violenza e la censura.
- Considerando anche l’opportunità espositiva, di che tipo di spazi si è dotata la Fondazione? Esiste anche un programma di mostre?
Prima di trovare questo spazio abbiamo valutato diverse opzioni, io non volevo uno spazio con vetrine piuttosto un luogo di lavoro. In futuro comunque, il nostro programma si avvarrà di location esterne selezionate ad hoc per ciascun progetto.
- La Fondazione Sardi per l’Arte ha promosso la produzione artistica e culturale anche nell’ambito di Artissima, fiera internazionale d’arte contemporanea, attraverso il Premio Sardi per l’arte Back to the Future. Il premio, di 5.000 euro, è dedicato alle gallerie che abbiano saputo valorizzare artisti rilevanti del ventesimo secolo, che non sempre hanno ricevuto la meritata visibilità.
Il progetto proseguirà anche quest’anno con la nuova direzione di Artissima?
Si, certamente. La collaborazione con Artissima ci ha dato molte gratificazioni soprattutto nel dialogo e nel confronto tra opere, galleristi e board curatoriale di selezione, in linea con la nostra missione, e di cui seguiamo gli esiti nel tempo. Stiamo valutando la possibilità di realizzare, in futuro, un progetto che possa presentare, gli artisti premiati dal 2014, anno in cui il premio è stato istituito, al presente.
- Ci può dire quali sono i progetti che la Fondazione ha intenzione di sostenere nell’immediato futuro?
Nel novembre 2017, in occasione della Torino Art Week, vorremmo presentare per la prima volta in Italia, il progetto di Fatma Bucak Remains of what has not been said, di cui abbiamo accennato in precedenza. Siamo alla ricerca di uno spazio espositivo adatto. Abbiamo voluto inoltre finanziare una pubblicazione monografica, a cura di Maria Cristina Mundici, dedicata alla ricerca dell’artista torinese Marzia Migliora e meritevole di un focus editoriale più approfondito. Un progetto importante che vorremo presentare nel 2018.
Ulteriore iniziativa in programma è la pubblicazione, in lingua inglese, di un florilegio di saggi filosofici sull’opera di Ugo Nespolo, in collaborazione con l’Istituto di Estetica dell’Università degli Studi di Torino con il quale avevamo già collaborato per l’edizione italiana.
- Dalla sua esperienza pluriennale nell’ambito dell’arte moderna e contemporanea, può dirci quali sono secondo lei, i tre concetti guida oggi imprescindibili per muoversi con esito favorevole nel sistema dell’arte?
Fondamentalmente indicherei come essenziali l’indagine sul processo artistico a più livelli, l’approfondimento continuo e la costante predisposizione a farsi interrogare dalla poetica dell’artista attraverso la sua opera. Tre principi che mi sto adoperando ad esperire quotidianamente anche con le progettualità della Fondazione.
Questa visione, aperta e lungimirante, proietta certamente il lettore verso nuove prospettive, dirette e partecipate, del “fare arte”. Un interessante suggerimento per sapersi orientare in un sistema oggi piuttosto complesso e talvolta destabilizzante.