II parte.
Fin dalla fine degli anni ’40 la dirigenza Fiat inizia a pensare ad un’utilitaria minima, che sia da un lato più economica delle 500 A e B (le “Topolino” per intenderci) e dall’altro più avanzata tecnicamente. I tempi però non sono ancora maturi per svariati motivi, così, nel 1949, entra in produzione la 500 C, ultimo “restyling” per tenere ancora in vita questa vettura, ancora molto apprezzata dal pubblico.
Vittorio Valletta, l’allora presidente della Fiat, personaggio decisamente caparbio e determinato, non si accontenta e, verso la primavera del 1954, alla vigilia del pensionamento della Topolino, rimette sul tavolo l’idea dell’utilitaria per tutti. La 600 infatti, non è considerata una vera e propria sostituta delle Topolino, bensì una vettura di categoria leggermente superiore. Così, sulla scrivania dell’ingegner Giacosa giunge ben presto la richiesta ufficiale di iniziare gli studi di questo nuovo progetto. Naturalmente l’esperienza fatta sulla 600 aiuta non poco il lavoro e, si può dire che la nuova utilitaria nasce proprio da una “costola” di quest’ultima.
La sigla di progetto affidata fu “110” (la 600 era il progetto 100) e da qui non perse più questa denominazione. L’investimento previsto per lo studio della nuova utilitaria è stratosferico: 10 miliardi di lire. Una cifra che, se pensiamo essere nella seconda metà degli anni ’50, è davvero elevatissima per una Casa costruttrice. Ma Valletta e i suoi dirigenti sanno molto bene di potersi fidare della bravura di Giacosa e, soprattutto, hanno intuito il potenziale della vettura.
Inizialmente si pensa di utilizzare moltissimi elementi della 600, sia per la carrozzeria e sia per la minuteria degli interni. Nei pensieri di Giacosa vi è l’idea di poter creare una sorta di “family feeling”, pur tentando di differenziarla in molti particolari, uno fra tutti, ad esempio è l’assetto. La 600 infatti monta ruote da 12 pollici, ma la proposta è quella di utilizzare cerchi da 11 o addirittura 10 pollici. Ovviamente però, in questo caso, si presenterebbe il problema di dover creare ex-novo gran parte di componenti, unito alla poca convinzione sul possibile comfort offerto da ruote di così piccolo diametro. Lo studio stilistico quindi, a questo punto andava delineando due opzioni: studiare una soluzione che non si discostasse troppo dalla 600 e ne sfruttasse parte dei componenti, oppure optare per un disegno completamente nuovo e scevro da stilemi già visti.
Dopo lunghe nottate di pensiero e giornate di lavoro intense a modellare il gesso bianco dei modelli in scala 1:1 e la plastilina di quelli in scala ridotta, risultano due prototipi, completamente diversi ma uniti dalla stessa idea di base. Uno si chiama semplicemente 110 e l’altro 110-518. Giacosa li vede affiancati e non ha dubbi su quale sarà la sua preferenza. Ma vuole sapere l’orientamento della dirigenza e, soprattutto quello del professor Valletta. Così, in una calda e assolata giornata di luglio del 1954, tutti si riuniscono intorno ai due prototipi di gesso bianchissimo. Lo sgomento della dirigenza per le dimensioni davvero minime è grande e, improvvisamente, cala un silenzio e un gelo, a tratti inquietante, dopo tutto il lavoro svolto. Del resto bisogna pur comprendere la situazione: uno dei prototipi è la triste copia in scala ridotta della 600 (la 110) e l’altro è una vetturetta completamente nuova, con forme “burrose” e uno sportello piazzato in mezzo al frontale per accedere al vano bagagli anteriore (la 110-518). Ma Giacosa, che conosce bene coloro che lo hanno assunto, si lancia in una disamina sullo studio stilistico del prototipo 110-518, sulle sue potenzialità, sull’originalità della fiancata “gradonata”, e sulla sua estrema semplicità.
Non nasconde i difetti del prototipo 110 “normale”, ponendo l’accento sul fatto che è troppo simile alla 600 e davvero poco accattivante. Così, Valletta e il resto del comitato di Presidenza, che conosceva altrettanto bene Dante Giacosa, non ci mise molto a farsi convincere, dando il via libera alla realizzazione del progetto 110-518. I mesi successivi sono di febbrile lavoro per definire la forma definitiva. Lo studio per una scocca portante che fosse costruttivamente semplice e leggera, porta via moltissimo tempo ritardando leggermente i lavori. Ma la strada è ormai spianata e la forma è ormai definita.
I posti previsti sono solamente due, mentre la panchetta posteriore è considerata di fortuna per trasportare al massimo due bambini. Inoltre, il fondo vettura completamente piatto non aiuta certamente l’abitabilità posteriore. Nel frattempo però, in parallelo si sviluppa anche lo studio riguardante il propulsore. In questo ambito però, Giacosa non ha dubbi fin dall’inizio: deve essere a due cilindri, con raffreddamento ad aria forzata. Ancora “scottato” per la bocciatura del due cilindri proposto sul prototipo della 600, sulla nuova 110 è ben determinato a portare avanti questa soluzione.
L’impostazione meccanica “tuttodietro” e il tipo di raffreddamento sono indubbiamente molto simili a quelle del Volkswagen Maggiolino che, pur avendo un 4 cilindri boxer esprime al meglio queste caratteristiche tecniche. Partendo da questo esempio, vengono costruiti diversi prototipi di motori a 2 cilindri, alcuni a cilindri affiancati, altri boxer e altri in linea. Scartato il boxer per una questione di costi, restano le altre due soluzioni. Alla dirigenza però, non convince il motore a cilindri affiancati e, con delusione di Giacosa, si opta per realizzare un 2 cilindri in linea longitudinale a sbalzo.
Il sistema di riscaldamento per l’abitacolo interno è invece tanto semplice quanto ingegnoso: sfruttando la forza della ventola di raffreddamento, l’aria che passa intorno ai cilindri alettati, convoglia poi verso l’interno dell’abitacolo attraverso il tunnel centrale, comandato da una piccola paratia a due posizioni. Nella teoria questo sistema è sicuro e pulito, in quanto l’aria contenuta nei carter non dovrebbe essere a contatto con gas di scarico o altri liquidi, ma nella pratica le piccole perdite d’olio dovute a una non perfetta tenuta delle guarnizioni, causano spesso un odore di olio bruciato, tanto caratteristico quanto pericoloso per la salute.
Il figurino definitivo del progetto 110, ormai è realtà e risulta decisamente aggraziato e regolare, pur con un evidente e forse esagerata semplicità. Se infatti, il tetto è completamente apribile (fino all’estremità della presa d’aria per il propulsore posteriore, i vetri laterali sono fissi e, solo i deflettori e le piccole prese d’aria poste sul frontale, aiutano a far circolare l’aria nell’abitacolo. Certo, il tetto apribile molto esteso poteva essere molto utile nelle giornate estive, a patto di accettare di viaggiare sempre con il sole in viso e il vento fra i capelli. L’interno è decisamente sobrio, quasi al limite del monastico, con i sedili anteriori forniti di una sottile imbottitura, così come la panchetta posteriore.
Ormai si è agli sgoccioli e la presentazione è vicina. Il nome commerciale ufficiale è “Nuova 500”, in ossequio alla “vecchia” Topolino e alla cilindrata del motore, nuovamente vicina al mezzo litro. Bisogna quindi preparare una presentazione ed un lancio in grande stile e l’ufficio stampa lavora alacremente per creare questo evento mediatico. La televisione è ormai una realtà definita dal 1954 e, come per la 600, anche per la Nuova 500 ha un importanza fondamentale. Il giorno fissato per la presentazione ufficiale è il 4 luglio 1957 e tutte le personalità che hanno lavorato intorno a questo progetto vengono coinvolte.
Primo fra tutti Dante Giacosa, che spiega, proprio in televisione, durante una diretta Rai, tutte le fasi salienti della produzione della vettura. I punti su cui “batte” l’ufficio stampa Fiat, sono sostanzialmente quattro: modernità costruttiva, praticità d’uso, economicità di gestione e basso prezzo di acquisto. Un comunicato esprime molto bene questi pensieri condensati in poche righe: “A vent’anni dalla originaria 500, entra nella scia di un uguale successo la Nuova 500 Trasformabile, completamente nuova, moderna, di minor prezzo, più economica, degna di succedere alla prima utilitaria del mondo, realizzata dalla Casa torinese”. Ed è così che in una bella giornata del luglio torinese, la 500 fa il suo debutto pubblico. Le piccole automobili sembrano letteralmente “invadere” la città di Torino, con un lunghissimo corteo che, partendo dallo stabilimento di Mirafiori si snoda attraverso tutto il centro. Il pubblico è entusiasta, così come la stampa specializzata. I testimonials si sprecano, Ugo Tognazzi, Virna Lisi, Giovanna Ralli, Juan Manuel Fangio, tutti provano la 500 e ne sono piacevolmente affascinati.
Purtroppo però, nonostante gli sforzi profusi dall’ufficio stampa, dai pubblicitari e gli ingenti investimenti, la 500 non ha quel picco di successo commerciale che ci si può aspettare da un modello nuovo appena presentato. Nonostante molti italiani non abbiano mai avuto una vettura, considerano comunque la Nuova 500 esageratamente povera, anche in relazione al prezzo di acquisto di 490.000 lire (più spese di messa su strada), non propriamente basso. Certo, è comunque ben lontano dalle oltre 600.000 lire necessarie per entrare in possesso di una più grande Fiat 600, ma la povertà degli allestimenti dell’abitacolo non riesce proprio ad andar giù.
Le critiche maggiori, infatti, riguardano proprio gli interni, considerati troppo spartani, quei vetri laterali fissi e quell’esile panchetta posteriore non piacciono a nessuno. Inoltre, lo spazio per i bagagli nel vano anteriore, è davvero esiguo, vista la presenza della ruota di scorta e del serbatoio. Ma, come se già non bastassero le critiche del pubblico, ci si mette anche la stampa specializzata, che considera le prestazioni del piccolo bicilindrico decisamente scarse in relazione al crescente traffico delle strade di quel periodo.
Nonostante la pubblicità ponga l’accento sulla 500 “scattante e briosa”, la prova su strada dimostra ben altro, inclusi gli 85 km/h, che si raggiungevano davvero con troppa fatica. Insomma, bordate su tutti i fronti. I vertici Fiat sono furenti e inizia una vera e propria caccia al colpevole, che purtroppo comprende anche Giacosa, il quale ci rimane talmente male da avere un esaurimento nervoso, con conseguente malessere psicologico per tutti i mesi successivi, costringendolo ad un lungo riposo forzato. Ma quando si presenta un problema, quasi sempre esiste una soluzione e, in questo caso, non si fa altro che dare al pubblico quel che da questo è stato chiesto. In brevissimo tempo, si cerca di rimediare all’errore “sdoppiando” gli allestimenti. Quello unico, presentato inizialmente, diventa ora la versione “Economica”, mentre viene presentata la “Normale”, ovvero una 500 con allestimento arricchito. Per entrambe, il propulsore è rivisto con piccoli accorgimenti e la potenza aumenta, arrivando ora a 15 CV.
Ma la vera novità, finalmente, sono i vetri laterali discendenti, che permettono di poter cambiare l’aria dell’abitacolo senza dover necessariamente aprire completamente il tetto in tela. Naturalmente quindi compare la manovella internamente alla portiera per permetterne l’azionamento. Un bel salto di qualità insomma. Come se non bastasse, il prezzo dell’Economica diminuisce a 465.000 lire, ben 25.000 lire in meno di prima. Il gap con la 600 quindi si allarga sempre di più, rendendo, tutto sommato, più appetibile l’acquisto.
La Normale mantiene invece il suo prezzo di 490.000 lire. Inoltre, operazione di rara correttezza, che dimostra quanto la Fiat fosse attenta al marketing e ai clienti, la differenza di 25.000 lire, viene restituita ai clienti della prima ora, tramite un assegno inviato per posta. Probabilmente è un caso più unico che raro nella storia dell’automobile, ma a livello di immagine è stato un vero successo. Il tutto costa in più alla Fiat oltre 25 milioni di lire, una bella somma, aggiunta agli investimenti già ingenti per l’intero progetto 110. Da qui in poi, però, l’ascesa della piccola Fiat 500 sarà lenta ma costante, ottenendo il suo apice di successo verso la fine degli anni ’60 ed entrando di diritto nella storia dell’automobile. Esce di scena il 1° agosto del 1975, dopo quasi 4 milioni di esemplari prodotti.
Per concludere si possono usare le parole dello stesso Giacosa sull’automobile: “…ha liberato l’individuo dalle strette dello spazio e del tempo. Ne ha moltiplicato enormemente l’attività e le possibilità di lavoro. Ha creato una più vasta area di interessi e ha contribuito, in misura predominante, alla rapidità crescente di mutazione che ha caratterizzato la nostra era…”.
Matteo Comoglio