Nona edizione di Torino Spiritualità
E’ possibile cercare di Dio in Rete? Come si vive la spiritualità nell’era di Internet? Quale rapporto tra la Chiesa e i nuovi media? Padre Antonio Spadaro, direttore di «Civiltà Cattolica», fresco autore della più articolare e ricca intervista a papa Francesco in questo tempo di dialoghi e confronti tra mondo cristiano e laico, e don Cristiano Mauri, vicario parrocchiale a Meda, ospiti di Torino spiritualità hanno cercato di rispondere a queste domande nell’incontro dal titolo «Cercare Dio on line non è più un’eresia».
Il rapporto tra la Chiesa e i social network si è sviluppato tra dubbi, contrasti, avvicinamenti e scoperte. La Santa Sede, infatti, ha mostrato un forte interesse per la Rete e ha scelto di accogliere la sfida di ricercare e vivere la spiritualità nell’era di Internet. Ha considerato la Rete non come un semplice canale di informazione, ma come una reale occasione di condivisione, di ricerca e di analisi comune, un vero e proprio nuovo luogo di spiritualità.
«Internet non è un semplice insieme di cavi, di tecnologie», ha spiegato padre Spadaro, «intenderlo in questo modo significa non comprenderlo per niente e lasciarsi sfuggire il suo significato. Come sottolineato da Benedetto XVI nell’Enciclica sulla tecnologia del 2012: “L’ambiente digitale non è un mondo parallelo o virtuale, ma è parte della realtà quotidiana”. Paolo VI, in un incontro con i gesuiti del 1964, disse che “il cervello meccanico viene in aiuto del cervello spirituale, e quanto più questo si esprime nel suo linguaggio (il pensiero), quello sembra godere di essere alle sue dipendenze. Non è proprio questo lo sforzo di infondere negli strumenti meccanici il riflesso di funzioni spirituali? È lo spirito che è fatto prigioniero della materia, o non è forse la materia che offre allo spirito stesso il sublime ossequio?”». La tecnologia è ormai uno dei modi ordinari per esprimere se stessi e la propria spiritualità e «le nuove tecnologie», ha proseguito Spadaro, «possono contribuire a soddisfare il desiderio di senso, che rimane indiscutibilmente l’aspirazione più profonda dell’essere umano».
Don Cristiano Mauri, partendo dalla sua esperienza personale, ha detto che la Rete non è uno strumento, ma un vero e proprio luogo dell’esistenza. «Un luogo a cui la Chiesa si deve avvicinare non per stare al passo con i tempi, ma per fare proprio l’atteggiamento evangelico, di Gesù che va abitare gli spazi dell’uomo». Molte sono le domande davanti a cui Internet ci pone. «Cosa si trova in Rete? Si può trovare Dio? Qualcuno cerca Dio in Rete? Lo si trova? E se lo si trova, che Dio è? In internet vi sono molti rimandi spirituali; ma quanti sono rimandi emotivi e quanti hanno invece dietro una ricerca spirituale? E la Chiesa? Sta in Rete per cercare Dio oppure per portare Dio on line? Ma il compito della Chiesa è questo? Non è semplice trovare una risposta a tutti questi quesiti, ma centrale è l’atteggiamento di continua domanda, di continua riflessione».
Centrale, e non solo per Torino Spiritualità, è il concetto del «comunicare», che non deve essere slegato dalla dimensione più profonda dell’uomo, quella dell’anima e della riflessione. Non sono due realtà da vedere separate, una “on line” e una “off line”. Le nuove tecnologie ci portano a inserire in Rete il gusto e la voglia di ricercare. Il «digitale» si unisce al «reale» ed entrambi gli aspetti si legano nella dimensione del nostro vivere. Per tutti vale la profonda conclusione di padre Spadaro: «La questione non è tanto come la Chiesa può usare bene la Rete, ma qual è il posto della Rete nel progetto di Dio per l’umanità? La domanda non è tecnologica, ma teologica».
Toccante la testimonianza di Domenico Quirico, l’inviato de «La Stampa», sequestrato per 152 giorni nell’inferno siriano, chiamato a raccontare come le singole scelte personali possano influire sulla storia con la «S» maiuscola. «Io ho scelto di non odiare, perché se odiassi i miei carcerieri sarei ancora prigioniero», ha detto Quirico. «Quando mi hanno annunciato realmente la liberazione», ha raccontato il giornalista, «uno dei miei carcerieri, una sorta di ufficiale, mi ha detto che io dopo 5 mesi sarei tornato a casa, alla vita che avevo prima, alle giacche e alle cravatte, mentre lui sarebbe rimasto lì. “I veri ostaggi siamo noi”, mi ha detto. Ecco, per me, questa è la vera essenza della storia umana, della mia esperienza e della tragedia siriana. Se voglio portare avanti il mestiere che ho scelto anni fa, non posso dimenticare gli altri, nemmeno i “cattivi”, i banditi, i delinquenti. Devo raccontare anche loro, che si ritrovano a vivere la guerra e la violenza ogni ora, ogni minuto, ogni giorno nella quotidianità».
Altra lezione interessante è stata quella proposta da monsignor Piero Coda: un cammino teologico sul tema «La pratica dell’anima e la gestazione del mondo». Una riflessione da un lato sulla cura dell’anima, dall’altra sull’esistenza del mondo a partire, e per giungere, «alle scelte necessarie per intraprendere un cammino spirituale che miri davvero a trasformare il mondo secondo il cuore di Dio». Nella spiritualità cristiana vi è un nesso indissolubile tra la cura dell’anima e la gestazione del mondo, ha detto Coda, il cristiano cerca un equilibrio tra questi due aspetti, tra la cura della psyché e l’impegno, «che è insieme dono e conquista, già e non ancora».
«Per coniugare questi due termini», ha spiegato mons. Coda a un pubblico numeroso, composto da studiosi e appassionati di filosofia, «è necessario pensare una sorta di fenomenologia dell’esperienza dell’anima, a partire da quella fatta nel cristianesimo». Mons. Coda ha ripercorso il rapporto tra divino e umano suggerendo la riflessione di Agostino, Giovanni della Croce e Teresa D’Avila che incontrarono Dio nell’anima. Ha citato Chiara Lubich, che uscì dal «castello interiore» della mistica cinquecentesca per coniugarlo con il «maniero esteriore». «Dio dimora in me e nell’altro da me. Come curo la presenza di Dio nella mia anima, così la devo curare anche nell’anima del mio fratello», scriveva la fondatrice del Movimento dei Focolari. Indicativo, in questo, il documento conciliare Gaudium et spes del Concilio vaticano II che pone l’accento come l’uomo, per diventare nuova creatura, rinascere nello Spirito «deve amare tutte le cose che Dio ha creato, che da Dio riceve, che vede uscire dalle sue mani». Deve imparare ad amarle a rispettarle «e a ringraziare di essere il divino benefattore».
Luca Rolandi
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