Quella di Futurdome è, prima di tutto, una bella storia di sperimentazione tra arte, architettura e design, nel segno della memoria storica e nel nome dell’avan-guardia, quel “guardare avanti” che è proprio di (pochi) eletti spiriti visionari. Il tutto a partire da un raffinato palazzo liberty nel centro di Milano, abitato e frequentato tra gli anni ‘30 e ‘40 (soprattutto in tempo di guerra) da artisti, poeti e pensatori come Crali, Masnata, Belloli, Regina Cassolo Bracchi, Munari e Depero: legati principalmente all’ultima stagione del Futurismo, che si ritiene, a livello storico, concluso proprio con la morte di Filippo Tommaso Marinetti nel 1944.
Oggi il palazzo, sopravvissuto ai bombardamenti della seconda guerra mondiale, dopo dodici anni di complessi lavori, è stato restituito ad una nuova vita: un aspetto elegantemente inizio ‘900, un restauro conservativo delle decorazioni e un’anima high tech per tecniche e materiali, con una serie di appartamenti in vendita, aree comuni e uno spazio espositivo su strada, Le Dictateur.
Quest’ultimo, fondato nel 2006 come progetto editoriale (ma un tempo era un laboratorio di scarpe dove i Futuristi usavano i macchinari per realizzare le loro sperimentazioni) è tra i più dinamici protagonisti della nuova scena indipendente dell’arte italiana.
Un gruppo di studiosi e curatori capitanato da Atto Belloli Ardessi e dall’ISISUF-Istituto Internazionale di Studi sul Futurismo – si è fatto custode e promotore del palazzo e, nello spirito di conservare e riattivare i processi creativi che lo hanno animato in passato, ha gettato le basi per la ricerca di nuovi “precursori del contemporaneo” che potessero riattivare dibattiti culturali e soprattutto visionarietà:
è nato così un programma espositivo per far rivivere FuturDome, un museo che si abita, progetto di housing museale dedicato alla contemporaneità.
Il restauro di via Paisiello 6 non prevede infatti solo un progetto di riqualificazione di un edificio storico, ma rappresenta anche la trasformazione di un palazzo in un condominio aperto, vòlto all’avanguardia architettonica ed estetica: gli spazi residenziali, in nome di un fortunato genius loci, convivono con eventi futuri organizzati anche nelle parti comuni, o direttamente negli appartamenti privati, che esprimano connessione con architettura, design, domotica e arte contemporanea.
The Law of Past Experience, curata da Atto Belloli Ardessi e da Ginevra Bria, porta negli appartamenti privati del palazzo più di 50 opere in edizione unica, realizzate da Nucleo, famoso studio torinese diretto da Piergiorgio Robino, che ha al suo attivo molti progetti in ambito internazionale e collabora con due note gallerie di design.
La Legge dell’Esperienza Passata è che uno dei principi della Gestalt (dal tedesco Gestaltpsychologie, psicologia della forma o rappresentazione), corrente psicologica incentrata sui temi della percezione e dell’esperienza che nacque e si sviluppò agli inizi del XX secolo in Germania.
In base a questa teoria il sistema nervoso umano tende a ricostruire forme conosciute anche quando sono frammentate o disturbate da un elemento esterno: in questa mostra il visitatore è invitato ad entrare in una casa arredata, dove si ha subito la sensazione che “qualcosa salti”, in un gioco di simmetrie e asimmetrie, di elementi interrotti o addizionati.
Nucleo ha raccolto la sfida di intervenire materialmente su gli arredi originali selezionati tra quelli che componevano l’appartamento originale, scenario delle riunioni dell’ultima generazione di Futuristi: ha assottigliato mobili e letti in radica, ha ritagliato le stoviglie, ha segato mobili e sedie inserendo poligoni in cemento secondo l’algebra booleana solidificata; a latere, con la preziosa collaborazione della Fonderia Battaglia, ha realizzato nuove opere inedite, una serie di statue in bronzo che subiscono addizioni e sottrazioni di volumi, duplicate e ricostruite da superfici specchianti. Al visitatore il compito di “completare” con la sua visone le parti mancanti o solo suggerite, dal passato al presente e viceversa.
Un’operazione dissacratoria e onirica, elegantemente di rottura eppure nostalgica, con quell’elemento di irreversibilità, sconcertante per i conservatori e per una certa contro-museologia, che a Marinetti sarebbe certamente piaciuto.