Mercoledì 15 Novembre 2017 presso il Centro Congressi Unione Industriale Torino, il Digital Innovation Hub Piemonte, l’Unione Industriale di Torino, unitamente al Club Dirigenti Tecnici hanno promosso il convegno “La Rivoluzione 4.0 per le Pmi: Innovazione e Competitività”.

Convegno Rivoluzione 4.0

L’iniziativa ha inteso tenere alta l’attenzione sul fare “cultura dell’innovazione”, raccontando le best practice del territorio. I promotori, nell’ambito delle attività di “Officina 4.0” – sigla che raccoglie i programmi formativi e informativi dell’Unione Industriale – intendono sensibilizzare le PMI, promuovendo percorsi innovativi in ambito di processo e di prodotto, per favorire la competitività e nuove occasioni di business, ponendo le basi per la ripresa.
Nei prossimi 50 anni, questo cambio di paradigma, definito “evoluzione” più che “rivoluzione”, sarà esponenziale. Sensori, big data, intelligenza artificiale, robot collaborativi, bitcoin, auto a guida autonoma, internet delle cose: queste sono le nuove frontiere della tecnologia oggi. E’ un business per pochi global players ma necessita di filiere specializzate: c’è ampio spazio per PMI innovative e startup. I settori di punta del nostro territorio (IT, Automotive, Aerospace, Robotica e Servizi) potranno crescere ed essere sempre più competitivi se sapranno sfruttare i vantaggi della digitalizzazione.

Giuseppe Berta ha dedicato il suo intervento a inquadrare il ruolo dell’Italia nel contesto globale, nell’analisi degli aspetti socio-culturali che, associati alle cause ataviche di ritardo (ad esempio infrastrutture, burocrazia e giustizia), ne frenano la crescita e bloccano energia e creatività.
In seguito il vicepresidente di Piccola Industria di Confindustria Giorgio Possio ha illustrato l’approccio “lean” nell’applicazione delle nuove tecnologie, per ottimizzare i processi e promuovere il miglioramento continuo. Il Giappone dove il Lean è nato ha dato vita ad un modello ideale per questa questa trasformazione: si parte da bassi costi, da progetti pilota limitati e dalla creazione di uno schema adattabile a diverse situazioni.

tavola rotonda Rivoluzione 4.0

Tavola rotonda Rivoluzione 4.0

Ha chiuso l’evento un tavola rotonda dedicata ai temi-chiave del lavoro e della formazione, moderata da Filomena Greco del Sole 24 Ore con Franco Deregibus, Giorgio Vernoni, ricercatore Centro Einaudi e Osservatorio 21, Riccardo Rosi, vicedirettore dell’Unione Industriale e AD Skillab, e Stefano Re Fiorentin, Club Dirigenti Tecnici UI.
Modellare, dunque, la nostra industria e la nostra società in chiave 4.0 significa collaborare per creare un progetto “su misura” per Torino, orientato a valorizzare le imprese, le esperienze formative più avanzate e a costruire opportunità di lavoro di elevata qualità.
Abbiamo incontrato Riccardo Rosi, vicedirettore dell’Unione Industriale e AD Skillab per farci dire qualcosa di più su questa nuova rivoluzione denominata 4.o.

Riccardo Rosi

Lanciare un programma di politica industriale definito 4.0 è un’ esigenza molto sentita dai grandi player dell’informatica e della manifattura che hanno un mercato internazionale, perché da circa 6 anni  le altre nazioni, più avanzate dal punto di vista teconologico stavano facendo diventare strategico l’inserimento massiccio e crescente delle potenzialità dell’informatica all’interno delle attività industriali e non solo.
Soprattutto i tedeschi hanno dato questa denominazione 4.0 per tracciare un una linea di confine, tra la prima e vetusta rivoluzione industriale che fu quella del vapore, la seconda che fu quella dell’elettricità la terza dell’automazione e la quarta che è quella dei dati.
Le grandi nazioni con l’aiuto di grandi aziende come Siemens, Bosh, un oligopolio tecnologico, molto seguito, sono partite delle azioni di filiera, coloniali dal punto di vista economico, ma se si porto la tecnologia per primi poi si diviene vincenti e su questo hanno proprio ragione. Detto questo non  era solo un fenomeno tedesco, si è evidenziato anche in Francia e si è sviluppato negli Usa dove l’uso  del digitale è più frequente.
Noi ci siamo trovati di fronte ad un fenomeno che stava avanzando.
Da qui l’iniziativa di Confindustria che poi è stata ripresa e che ha configurato una delle pochissime azioni di politica industriale italiana realizzata in questi decenni, essa ha previsto di avere un obiettivo industriale con dei mezzi efficaci e degli incentivi significativi, a fonte di iniziative di investimento.
Il Piemonte come ha reagito ?
Il Piemonte ha risposto bene, ha partecipato tramite l’Unione Industriale e con gli imprenditori, abbiamo portato al tavolo nazionale l’esperienza di un’azione collaborativa, assimilabile a quella del 4.0 infatti realizziamo da parecchi anni qualcosa di simile con i cluster della meccatronica, conosciuto come Mesap, perché si è sempre occupato di smart tecnology, la trasmissione dei dati. Lo abbiamo fatto per i progetti di grandi e piccole aziende; un metodo di lavoro e contenuto, suggerendo elementi vincenti, di forte convincimento. Questo è stato ben recepito. Il Piano Calenda presentato a Torino lo dimostra ampiamente.
Insomma, una scommessa, con tipico orgoglio sabaudo abbiamo pensato che saremmo stati i primi ad essere operativi e lo siamo, noi a gennaio di quest’anno, eravamo già pronti per cominciare.
La fortuna è anche di avere dalla nostra parte un vero stratega tecnolocigo come l’ingegner Franco Deregibus, con la sua esperienza nello sviluppo. Il problema è farlo capire, comunicarlo a tutti;  la verità è che una rivoluzione pervasiva, la cui velocità a volte è superiore a quello che siamo in grado  di controllare, vero è che se se ne sta fuori si viene immediatamente marginalizzati.
La differenza lo fa il modus operandi, come fai la strada, senza le persone il 4.0 resta lettera morta, fondamentali sono la formazione professionale l’educational.
Dentro questa rivoluzione c’è una parte culturale che ci pone davanti delle domande e di fronte a questi dati effimeri, si prova un senso quasi di sospensione, per la loro immaterialità, come si traduce di fatto tutto ciò ?
Di fronte ad un gruppo di imprenditori canavesani, i quali erano un po’ straniti  per questo 4.0 trasformazione digitale,  siccome sono uomini della concretezza, per farmi capire mi sono inventato questa sintesi:

“Le macchine ca sas parlù”, le macchine che si parlano.

questa è la base, c’è di mezzo si ali trasferimento di dati, e la collaborazione, azione tecnico meccanica e quasi sentimentale,  le macchine con la tecnologia possono interagire e questo apre i mondi della sensoristica avanzata, possono predirre, controllare, analizzare. Questa è la vera novità.
La fantascienza e il cinema hanno anticipato queste cose, parliamo di intelligenza artificiale con tutte le sue possibili e pericolose variabili.  Il digitale ci salverà o saremo perduti dentro al digitale ?
Ci sono dei bellissimi film di fantascienza, come Lucy di Luc Besson, una versione romanzata di cosa potrebbe accadere.Il mondo produttivo deve stare con gli occhi aperti, semplicemente cerchiamo di posizionare quello che normalmente fanno le aziende all’interno di una visione competitiva di tecnologie e metodologie analoghe per vedere dove sono arrivati gli altri. Non c’è un punto d’arrivo chiaro e definitivo, siamo in viaggio.
Questo lascia disorientati.
Oggi per chi è capace oggi le analisi di mercato sono molto diverse rispetto a prima, si dovevano fare tutta una serie di azioni fisiche, attualmente le analisi dei mercati ed dei clienti si fanno con degli strumenti che permettono una precisione ed un’accuratezza molto elevata, e a costi relativamente bassi. Amazon ha quasi azzerato il concetto tempo spazio, sostituendolo con il tempo reale di portare le cose a chi servono.
Nemico assoluto è “abbiamo sempre fatto così”, questo è l’anticamera dell’emarginazione, malgrado il valore storico, può dare addirittura dei primati, però va rinterpretato, come diceva Einstein non si può migliorare facendo sempre le stesse cose.
L’intervento che farà oggi al convegno è dedicato alla formazione, quale è l’orizzonte su cui noi muoviamo una formazione che possa dare risultati considerevoli e visibili.
Noi abbiamo una formazione con un grosso deficit nella scuola media inferiore, problema di cui poco si parla, fonte di problemi di comprensione che ritroviamo nella scuola superiore. Le inferiori sono una specie di limbo, a differenza del ciclo primario che in questo paese è mediamente di alta qualità.
Le conseguenze non sono recuperabili. 
Altra anomalia è che noi siamo carenti nel livello terziario non universitario. Oggi viene data una sorta di cura teorica, l’Italia non va bene perché ha pochi laureati. E’ vero, se si prende come riferimento Il resto del mondo parla di diplomati di terzo livello, in questo ambito, laureati sono in numero percentuali comparabili, a noi mancano totalmente i diplomati superiori, che per esempio in Germania sono ottocentomila. 
Questo da  all’italia un deficit competitivo, perché in termini quantitativi i tecnici intermedi sono molto più necessari degli specialisti. Il nostro sistema educativo è bravo a creare gli specialisti, purtroppo fa male a spingere una percentuale maggioritaria al liceo, perché questo presuppone un infelice percorso universitario. 
Pensando alla Germania, per andare a quello che loro chiamano gymnasium bisogna essere tra i più bravi. Da noi invece al liceo ci va chiunque. e dopo non si ha nulla dal punto di vista della professione.
A Torino abbiamo un’ottima Università con cui i rapporti sono ottimi, ma ritengo che l’Its possa essere una scuola del futuro, perché più facilmente influenzabile dagli input della modernità, che non significa formare solo sulle esigenze delle imprese, che molti ritengono essere un anticamera della schiavitù.
Solo con gli Its certamente non faremo la rivoluzione digitale, ma sono essenziali per dare gli strumenti di base per poter proseguire. Non dimentichiamo che la spina dorsale del Paese e del miracolo economico sono stati i geometri i periti e i ragionieri che ci hanno permesso di supplire alla mancanza di laureati, oggi  quelle scuole sono poco ricercate dai ragazzi spesso ottime ma non riconosciute così come i professionali.
Va recuperata l’importanza delle figure tecniche intermedie. Da un’indagine fatta risulta che in Italia mancano circa 157mila tecnici, di cui soltanto il 15% sono ingegneri.

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