Leonardo Caffo, filosofo catanese, molto attivo sul territorio torinese per le sue collaborazioni con l’università di Torino, il Politecnico di Torino e la scuola Holden, è il teorico dell’antispecismo debole. Approfittando della sua presenza, il 27 dicembre, al Circolo dei Lettori per la presentazione del suo ultimo libro Fragile umanità. Il postumano contemporaneo, edito da Einaudi, siamo andati a chiedergli di chiarire questo concetto e i risvolti pratici della sua teoria.
Lei è il teorico dell’antispecismo debole. Ci chiarisce cos’è l’antispecismo e perché è debole?
L’antispecismo è una teoria che in filosofia, dagli anni ’70 in poi, sostiene che gli animali, solo per essere diversi di specie, non devono anche essere diversi per trattamento morale. Ovvero non c’è un buon argomento per sostenere che un certo trattamento è da considerare ingiusto, se rivolto un individuo della mia stessa specie, mentre, se rivolto ad un individuo di specie differente, quello stesso trattamento è da considerare giusto.
L’antispecismo debole è un approccio che permette di svincolare l’antispecismo da un’argomentazione indiretta, ad esempio quella secondo la quale si debba rispettare l’animale solo perché si inquinerebbe molto con gli allevamenti intensivi. Dunque non si pensa all’animale come soggetto di diritto ma perché in maniera collaterale inquina l’ambiente.
Inoltre è debole perché rispetta un principio logico tale per cui indebolire le premesse argomentative per lasciare solo quelle stringenti, quelle etiche, porterà ad una conclusione più forte.
Perché porre l’animale al centro del discorso di liberazione quando l’uomo è ancora lontano da un progetto efficace di emancipazione?
Io non sono d’accordo a metterlo al centro. Io credo che se l’etica filosofica ha senso, ha senso sia per gli animali che gli umani. Gli argomenti che usiamo in etica per dire che un individuo è un soggetto di diritto, sono validi per quasi tutti gli animali, sicuramente per tutti quelli di cui ci nutriamo. Il principio per cui non dovremmo farli soffrire vale anche per gli umani e viceversa.
Come accettare la propria ipocrisia, ovvero che in fondo del dolore altrui ci interessa molto poco, non è una soluzione accettabile?
Il fatto è che ci adeguiamo per campare. Non è vero che del dolore altrui ci interessa poco ma conduciamo la nostra vita da buoni cittadini. Per esserlo non ti devi occupare necessariamente del dolore altrui ma rispettare le regole e le norme della società in cui vivi. In teoria invece dovremmo occuparci di tutti coloro che soffrono senza distinzioni. La sofferenza di un essere umano è da prendere in considerazione tanto quanto la sofferenza di un animale. La mia vita non è più degna di quella di un maiale, ad esempio.
Quindi perché proporre in prima istanza una liberazione animale?
Io non propongo in prima istanza una liberazione animale. Per me l’antispecismo debole è una piccola parte della teoria del post-umano contemporaneo che vorrebbe mettere sotto scacco l’antropocentrismo. Dunque non si parla di prendersi cura degli animali perché è un modo per depotenziare quelle visioni del mondo che sta intorno a noi, spesso false e ideologiche, che ci fanno pensare di essere al centro in quanto umani. Provando a uscire dall’antropocentrismo, le prospettive sono diverse. Per fare un esempio: un uomo che vivesse per vent’anni in una foresta, potrebbe anche mangiarli gli animali perché è uscito dall’umanità. Ma questo è un discorso complicato che varrebbe la pena di essere approfondito in altre sedi.
Essere vegano è, secondo te, una delle possibili anticipazione del futuro. Il futuro che tutti vorremmo avere. Dobbiamo dire addio alle nostre tradizioni culinarie e accettare un menù unico per tutti a base di prodotti quali la soia o il seitan?
Io credo che l’alimentazione dovrebbe essere a base vegetale per un’infinità di ragioni, che riguardano non solo la filosofia ma anche la redistribuzione delle risorse, l’evoluzione morale della nostra specie, la possibilità di affrontare diversi problemi in maniera differente, come ad esempio l’introduzione nelle nostre diete degli insetti per far fronte all’insostenibilità degli allevamenti intensivi. Se il problema c’è e la soluzione proposta, da chi non rinuncia alla carne, sono le cavallette, allora credo che preferirei trovare la soluzione nella dieta vegetale con un piatto di fagioli, io credo.
Non è assolutamente un menù unico perché la tradizione vegana in paesi come l’India, l’America o l’Africa è completamente differente.
Carenze nutrizionali nelle diete vegane e un certo scetticismo nella sostenibilità ambientale della scelta vegana sembrano criticità importanti. Essere vegani è allora una scelta così semplice e/o preferibile?
Semplice sì, preferibile no. È semplice perché non ci vuole niente ad essere vegani nella nostra società capitalistica mentre è impensabile chiedere ad una persona di un villaggio africano di diventare vagano. Questo è lo sbaglio degli animalisti che credono che tutto il mondo sia uguale. Inoltre dovremmo essere vegani anche nei confronti delle persone che vivono in territori poveri dato che consumiamo degli alimenti che per essere prodotti vanno a distruggere il resto del mondo.
Emanuele Oliva