GazzettaTorino, ha deciso di raccogliere opinioni, pareri, punti di vista, sul futuro della città, rivolgendo sei domande, sempre le stesse, a persone impegnate a diverso titolo nella società, nella politica e nella cultura, su un tema rilevante del dibattito pubblico, a nostro avviso trascurato: la Torino di domani.
La città appare in questo momento, come si suol dire “sotto lo zelo di Abramo”, ossia pronta ad essere sacrificata senza sapere bene per chi o per che cosa. E noi, come Isacco, vorremmo che alla fine si salvasse.
Iniziamo con Silvio Saffirio, ringraziandolo per la partecipazione a Torino Domani.
Dopo un viaggio all’estero, al rientro la città e talvolta l’Italia tutta appare più piccola, bloccata, come fosse imprigionata dentro ad un incantesimo cattivo. Prova anche lei questa sensazione, e se la risposta è si da cosa reputa sia dettato questo sentimento.
Il ritorno da un viaggio all’estero comincia con la lettura di un quotidiano italiano del quale per 15 giorni abbiamo fatto a meno senza sforzo. E lì ripiombi nello scoramento. Nulla è cambiato, anzi ti pare che sia la stessa copia che avevi letto all’andata… A far notizia sono semmai i crolli, le inondazioni, i terremoti ma quanto alla politica e allo stato del Paese, nulla cambia, ormai da decenni.
Ci siamo assuefatti al vaniloquio. Solo ogni tanto qualcuno riaccende la speranza. E poi la spegne lui stesso. Ognuno riferisca questa frase alla sua esperienza. Le cause? In disordine: non siamo divenuti un popolo con valori omogenei. Non lo eravamo 150 anni fa, non ce l’abbiamo fatta. Classe politica livello zero. Forse dovremmo ringraziare Tangentopoli di questo azzeramento che ha terremotato i grandi partiti e la scuola politica (pur con tutte le riserve) che essi rappresentavano. Certo c’era la corruzione. Adesso no, figurarsi.
C’era però preparazione, capacità di analisi, possesso della tecnica politica e competenza nell’amministrazione pubblica; dove oggi c’è improvvisazione, pressapochismo e profonda ignoranza. Poi c’è il debito pubblico che impedisce, anche volendola e sapendola fare, qualsiasi scelta di investimento pubblico.
Un debito pubblico spaventoso e in crescita perché nessuno metterà mai mano né alla sua restituzione né ai famosi tagli della spesa pubblica. Infine: non abbiamo mai scelto se essere un paese capitalistico. Cosa volete che aumenti il Pil se fare impresa in Italia è scoraggiato. La vox populi considera l’imprenditore un evasore non certo qualcuno che rischia, da lavoro e paga le tasse, anche se questo è vero nella stragrande maggioranza dei casi.
Il dibattito sul futuro di Torino, su cosa voglia divenire, cosa ambisca a rappresentare, quale tipo di identità desideri per se ed i suoi abitanti sembra inabissarsi e virare ad un pensiero che verte solo sui conti, sui debiti, sulle spese; una grande liquidazione dei progetti e dei sogni. Come siamo arrivati a questo?
Torino è un bel problema. Sì, tanto bellina è diventata ma… Adesso è pure collegata con l’alta velocità a Milano. Così veloce che non fai a tempo a leggere il quotidiano. Dovrebbe valere nei due sensi, non è vero? Invece vale soltanto per i professionisti torinesi che senza anche un ufficio a Milano non lavorerebbero più. Non conosco un solo milanese che lavori a Milano ma abbia casa a Torino. Eppure per arrivare a Torino da Milano ci vuole molto meno tempo che andare da Milano a Monza. Il problema di Torino è però soltanto in parte l’eccessiva vicinanza a Milano. Il problema di Torino è l’assenza da troppo tempo di una classe dirigente orgogliosa e capace. Torino e il Piemonte non hanno rappresentanza politica, anche qui da tempo immemorabile.
La Fiat ovvero l’esistenza di un’unica impresa e dei suoi vassalli ha svuotato il serbatoio di capacità che nascono dalla diversità. E oggi insieme a un pesante lascito di omologazione culturale in campo imprenditoriale si è eclissata anche la Fiat. Senza la manifattura una città delle dimensioni di Torino non ce la può fare. La manifattura (moderna, tecnologica, robotica, ambientalmente compatibile) dovrebbe ancora trovare in Torino un ambiente propizio. Basso costo delle costruzioni, mano d’opera disponibile anche psicologicamente, sistema di trasporti sufficiente.
Poi aggiungiamo pure la nuova risorsa del turismo ma è un dato di fatto che il turismo può “arrotondare” le entrate ma non sostituirsi alla manifattura. E poi le infrastrutture di trasporto: aeroporto, alta velocità e strade. La Asti-Cuneo è ancora ferma. La TAV… Dico questo perché troppo spesso ci si dimentica che Torino è in Piemonte e non è prescindendo da questo dato che si può mettere mano al futuro.
Cosa sarebbe opportuno fare per ripristinare fiducia, grinta, carattere, alla città ? Trovare un modello da seguire, che so Amsterdam o Londra, per dinamismo e opportunità, o dobbiamo individuare e inventarci un’altra strada ?
Prima vorrei evidenziare due business sui quali puntare: Università e Sanità. La parola business sembra impropria per simili attività ma possono essere due grandiosi fattori di crescita economica. Dovremmo poter diventare, più di quanto non accada già oggi, un centro di attrazione mondiale per gli studenti di tutto il mondo, non soltanto del terzo, e per i pazienti stranieri in cerca di medicina di qualità. Quanto alle città non ho esempi da citare o ne avrei troppi.
Vorrei piuttosto suggerire un metodo: inventariare tutto quanto è ancora sano e virtuoso nei vari ambiti (esempio: Il Museo Egizio, il nostro MOMA, la sede ONU, mai abbastanza valorizzata, le attività industriali di eccellenza) e organizzarne la sinergia, accrescerne l’attrattiva. C’è tanta roba a Torino. Il solo fatto di renderne cosciente la cittadinanza porterebbe risultato. Forse sto parlando troppo da pubblicitario… Già che ci sono vorrei suggerire anche un soggetto che spiani la strada alla politica insufficiente: le Fondazioni bancarie. Non per distribuire denaro a cultura e disagi sociali ma per finanziare una task force strategica (pochi cattedratici, please).
Compagnia di San Paolo o Fondazione CRT, ci aspettiamo che prendiate voi l’iniziativa di un progetto di ampio respiro e poi lo trasferiate alla politica che non ha né menti né volontà per farlo.
La politica possiede ancora la capacità di coinvolgere e costruire un’appartenenza, ha perduto la pietra focaia che accende passioni o, semplicemente ha smesso di usarla?
La politica è regredita. Di volta in volta c’è l’illusionista di turno. A questo punto mi piacerebbe provare un nuovo tipo d’illusionista. Quello che non racconta balle. Che dice la verità nuda e cruda e propone rimedi “sangue, sudore e lacrime”. Chissà, magari un 8% lo racimolerebbe. Il mio voto di sicuro.
A cosa attribuisce il fatto e la responsabilità di non vedere e sottostimare le cose meritevoli e buone del nostro paese?
A una malattia morale che si è impossessata di noi tutti. Personalmente credo che il nostro ’68 ci abbia nuociuto e basta.
C’è un libro, un film, o uno spettacolo teatrale, che a suo dire rappresenti al meglio il nostro tempo e prefiguri un indizio interessante per il domani ?
Consiglio vivamente un libro: “Il Grande Gualino” di un mio ex-socio di tanti anni fa, Giorgio Caponetti, edizioni UTET. Scoprirete una Torino, prima città industriale d’Italia e tra le prime in Europa. Non una monocultura industriale come poi divenne.
Una multicultura industriale dove gli imprenditori spesso erano mecenati e dove Milano era semplicemente la capitale lombarda e non New York come ormai sembra di sentirsi.