GazzettaTorino, ha deciso di raccogliere opinioni, pareri, punti di vista, sul futuro della città, rivolgendo sei domande, sempre le stesse, a persone impegnate a diverso titolo nella società, nella politica e nella cultura, su un tema rilevante del dibattito pubblico, a nostro avviso trascurato: la Torino di domani.
La città appare in questo momento, come si suol dire “sotto lo zelo di Abramo”, ossia pronta ad essere sacrificata senza sapere bene per chi o per che cosa. E noi, come Isacco, vorremmo che alla fine si salvasse.
Alberto Barberis è il Presidente del Gruppo Giovani Imprenditori dell’Unione Industriale di Torino, lo ringraziamo per la partecipazione a Torino Domani.
Dopo un viaggio all’estero, al rientro la città e talvolta l’Italia tutta appare più piccola, bloccata, come fosse imprigionata dentro ad un incantesimo cattivo. Prova anche lei questa sensazione, e se la risposta è si da cosa reputa sia dettato questo sentimento.
In realtà no. Mi spiego meglio: quando torno da un viaggio all’estero mi rendo conto di quante siano le potenzialità personali e le capacità industriali del nostro paese e del nostro territorio. Lo percepisco parlando con la gente e notando i molti marchi italiani che il mondo ci invidia.
Ad esempio lo scorso anno, al rientro da una missione in Silicon Valley con alcuni Giovani Imprenditori dell’Unione Industriale di Torino, il sentimento comune era di orgoglio e di consapevolezza che l’Italia è un grande paese e gli imprenditori italiani hanno delle capacità creative, estetiche, culturali decisamente più spiccate di altri. Ciò è dovuto al fatto che viviamo circondati dalla bellezza, dalla storia, dall’arte, dalla cultura. Non ce ne accorgiamo, ma l’ambiente in cui viviamo caratterizza fortemente le nostre abilità e predisposizioni.
A vederla positiva, è questa pressochè perenne instabilità politica che probabilmente ci aiuta ad essere così’ abili nella gestione degli imprevisti e nel saper trovare rapidamente soluzioni.
L’unico rammarico è che se avessimo un paese un po’ più organizzato e con maggiore visione strategica, evidentemente non saremmo nella situazione complicata in cui ci troviamo oggi, sia a livello locale che nazionale.
Il dibattito sul futuro di Torino, su cosa voglia divenire, cosa ambisca a rappresentare, quale tipo di identità desideri per se ed i suoi abitanti sembra inabissarsi e virare ad un pensiero che verte solo sui conti, sui debiti, sulle spese; una grande liquidazione dei progetti e dei sogni. Come siamo arrivati a questo?
Ci siamo arrivati per mancanza di visione strategica e di capacità di osare.
Putroppo troppo spesso si preferisce concentrare l’attenzione sugli alibi, anziché ragionare sulle opportunità e puntare sulla voglia di mettersi in gioco nel fare le cose difficili.
Alla notizia dell’esclusione di Torino dalla candidatura per i Giochi Olimpici Invernali del 2026 il mio primo pensiero è andato al discorso del 1961 dell’allora Presidente USA, John F. Kennedy, in cui annunciava l’intenzione di portare il primo uomo sulla Luna. “Scegliamo di andare sulla Luna entro dieci anni non perché sia semplice, ma perché è difficile. E perché una meta del genere ci aiuterà ad organizzare e mettere in campo il meglio delle nostre energie ed abilità.”
Ecco, se siamo arrivati al punto in cui siamo, penso sia proprio per la mancanza di una visione di questo tipo, l’assenza di reale consapevolezza delle proprie capacità.
Cosa sarebbe opportuno fare per ripristinare fiducia, grinta, carattere, alla città ? Trovare un modello da seguire, che so Amsterdam o Londra, per dinamismo e opportunità, o dobbiamo individuare e inventarci un’altra strada ?
Personalmente penso siano necessarie principalmente due cose: la prima è la capacità di raccontare alla gente qual è la visione strategica che governa determinate scelte, spiegare perché si va in una certa direzione e non nell’altra, descrivere i sacrifici da fare oggi illustrando i risultati che otterremo a medio/lungo termine.
La seconda è smettere di lamentarsi delle cose che non vanno e raccontare di più quali sono le reali potenzialità e capacità del nostro territorio, e sono tante.
Sono due cose piuttosto semplici e che non richiedono grandi investimenti, ma che penso potrebbero aiutare i torinesi a far riaffiorare quell’orgoglio sabaudo ormai troppo spesso sopito.
La politica, non prettamente partitica, possiede ancora la capacità di coinvolgere e costruire un’appartenenza, ha perduto la pietra focaia che accende passioni o, semplicemente ha smesso di usarla?
Trovo che in generale manchino un po’ di senso civico e di responsabilità. Le persone hanno la percezione di essere attori passivi di un ecosistema urbano, mentre dovrebbero sentirsi più responsabili ed avere maggiormente a cuore il destino del proprio territorio. Bisognerebbe iniziare fin dalle scuole elementari a spiegare ai bambini l’importanza del rispetto del territorio in cui si vive (non soltanto ambientale ma anche civile, sociale, etc.) e far capire loro che il mondo non si limita alle pareti di casa.
La politica ha comunicato male con la gente, ed ora fa anche peggio mediante dichiarazioni che spesso alimentano l’esasperazione.
A cosa attribuisce il fatto e la responsabilità di non vedere e sottostimare le cose meritevoli e buone di Torino e del paese?
Come ho accennato prima, penso sia dovuto alla nostra tendenza a lamentarci ed a concentrarci sulle cose che non funzionano, anziché utilizzare tempo e risorse mentali per pensare a come farle funzionare meglio.
Ciò genera una spirale negativa che ti fa perdere di vista le cose belle che hai e le opportunità che il mondo ti offre.
La responsabilità penso sia di tutti noi e, in primis, della difficoltà di chi riveste ruoli istituzionali a trasmettere un senso di ragionevole ottimismo.
C’è un libro, un film, o uno spettacolo teatrale, che a suo dire rappresenti al meglio il nostro tempo e prefiguri un indizio interessante per il domani ?
Cito due libri: “The better angels of our nature” di Steven Pincher e “Italia felix” di Francesco Antonioli.
Il primo perché, descrivendo che questo è il miglior periodo della storia che sia mai stato vissuto, ci aiuta ad osservare le cose da un punto di vista differente, a non pensare che in passato le cose andassero per forza meglio.
Il secondo perché attraverso le parole di Andrea Illy ottimamente intervistato dal giornalista Francesco Antonioli, racconta di come sia importante che l’Italia capisca che ha davvero moltissimi motivi per sorridere al futuro.