Roberto Tricarico
Dopo un viaggio all’estero, al rientro la città e talvolta l’Italia tutta appare più piccola, bloccata, come fosse imprigionata dentro ad un incantesimo cattivo. Prova anche lei questa sensazione, e se la risposta è si da cosa reputa sia dettato questo sentimento.
Quando rientro a Torino sento di tornare a casa. Da ragazzo ho vissuto a Parigi e da adulto ho lavorato a Roma. Dopo la mia, queste sono le due città che conosco meglio. A Roma e a Parigi le cose accadono da sole: ti senti parte di una città in movimento che ti spinge dentro una ruota che gira. Talvolta assume persino la velocità di un vortice. Se stai fermo le cose comunque si muovono intorno a te, nel bene e nel male. A Torino no. Se vuoi che ti capiti qualcosa, sei tu che la devi provocare. E quando la realizzi, se è di qualità, stai pur certo che prima o poi finirà altrove. E non mi riferisco solo al cinema, alla moda, alla televisione, ma a tutto ciò che è innovazione. Io penso che la nostra città sia abituata a produrre, a essere laboratorio e non vetrina. E nella produzione è complicato tenere il ciclo continuo. In questo momento siamo abbastanza lenti, forse stiamo raccogliendo le forze. La speranza è che si torni presto a sfornare le nostre idee.
Il dibattito sul futuro di Torino, su cosa voglia divenire, cosa ambisca a rappresentare, quale tipo di identità desideri per se ed i suoi abitanti sembra inabissarsi e virare ad un pensiero che verte solo sui conti, sui debiti, sulle spese; una grande liquidazione dei progetti e dei sogni. Come siamo arrivati a questo?
Certamente la difficile situazione finanziaria dei conti del Comune e della Regione non aiuta. Ed è giusto che chi governa questi enti sia impegnato nel risanamento contabile. Mettere i conti a posto però non basta, soprattutto se si punta tutto sulle minori spese e non anche su investimenti che possano garantire maggiori entrate. È stato un errore dire no a una nuova edizione delle Olimpiadi invernali. Da questa stagione politica stiamo imparando che la decrescita ha un costo (anche sociale) superiore alla crescita. Bisogna sostenere di più chi ha idee innovative e crederci, soprattutto se all’inizio ci sembrano folli.
Cosa sarebbe opportuno fare per ripristinare fiducia, grinta, carattere, alla città ? Trovare un modello da seguire, che so Amsterdam o Londra, per dinamismo e opportunità, o dobbiamo individuare e inventarci un’altra strada ?
Dobbiamo prima di tutto sentirci comunità e difendere gli interessi di chi ci sta vicino, perché sono anche i nostri. Sono stato quattro anni a Roma. Da due sono rientrato a Torino. Mi ha stupito ritrovare persone che gioivano per i fallimenti (anche politici) di nostri conoscenti. Si tratta dell’incantesimo cattivo di cui lei parlava nella prima domanda. Non esiste nessuna comunità dove si cresce da soli e semmai dovesse accadere, prima o poi quelli esclusi troveranno il modo per prendersi la loro parte.
La politica possiede ancora la capacità di coinvolgere e costruire un’appartenenza, ha perduto la pietra focaia che accende passioni o, semplicemente ha smesso di usarla?
La politica come centro regolatore della nostra vita ha perso peso. E questo ha determinato un minore interesse alla partecipazione. La Lega di Salvini e il Movimento 5 Stelle hanno invece saputo coinvolgere e creare appartenenza. Se di vuoto si può parlare questo va cercato a sinistra. È un problema che riguarda l’intera Europa e non sarà certo il prossimo congresso del Pd a risolvere la questione.
A cosa attribuisce il fatto e la responsabilità di non vedere e sottostimare le cose meritevoli e buone del nostro paese?
Io ho fiducia. Incontro molti giovani davvero determinati. Hanno un curriculum che io alla loro età mi sognavo. Hanno studiato, viaggiato, vissuto. Quando la nuova generazione comincerà a credere di essere migliore di quella che l’ha preceduta, anche le cose buone e meritevoli del nostro paese avranno una luce diversa, perché saranno proprio i nati nel nuovo millennio a spiegarcelo.
C’è un libro, un film, o uno spettacolo teatrale, che a suo dire rappresenti al meglio il nostro tempo e prefiguri un indizio interessante per il domani ?
Più che un libro o uno spettacolo, penso che meriti citare un discorso. Quello della studentessa quindicenne svedese che è intervenuta alla Conferenza sul Clima:
“Il mio nome è Greta Thunberg, ho quindici anni e vengo dalla Svezia. Molte persone dicono che la Svezia sia solo un piccolo Paese e a loro non importa cosa facciamo. Ma io ho imparato che non sei mai troppo piccolo per fare la differenza. Se alcuni ragazzi decidono di manifestare dopo la scuola, immaginate cosa potremmo fare tutti insieme, se solo lo volessimo veramente.”
Mi piace pensare che un giorno, dopo la scuola, questi ragazzi si uniranno davvero.