GazzettaTorino, ha deciso di raccogliere opinioni, pareri, punti di vista, sul futuro della città, rivolgendo sei domande, sempre le stesse, a persone impegnate a diverso titolo nella società, nella politica e nella cultura, su un tema rilevante del dibattito pubblico, a nostro avviso trascurato: la Torino di domani.
La città appare in questo momento, come si suol dire “sotto lo zelo di Abramo”, ossia pronta ad essere sacrificata senza sapere bene per chi o per che cosa. E noi, come Isacco, vorremmo che alla fine si salvasse.
Alessandro Meluzzi è uno psichiatra, criminologo e opinionista. In passato è stato Senatore della Repubblica, lo ringraziamo per la partecipazione a Torino Domani.
Dopo un viaggio all’estero, al rientro la città e talvolta l’Italia tutta appare più piccola, bloccata, come fosse imprigionata dentro ad un incantesimo cattivo. Prova anche lei questa sensazione, e se la risposta è sì, da cosa reputa sia dettato questo sentimento.
È un sentimento fondato. C’è come la sensazione che in Italia dai magnifici anni ’80 e dalla loro tragica conclusione in Tangentopoli la necessità di ri-moralizzare la cosa pubblica abbia avuto come esito principale quello di bloccare investimenti, idee e quella dinamica di modernizzazione di cui invece si vedono i segni altrove in Europa. Evidentemente si tratta di una sindrome maligna che ha impedito quello sblocco politico che ci auguravamo in Italia attraverso un ridimensionamento della filosofia catto-marxista che ha guidato il Paese. Ma questo ridimensionamento non è ancora avvenuto.
Il dibattito sul futuro di Torino, su cosa voglia divenire, cosa ambisca a rappresentare, quale tipo di identità desideri per se ed i suoi abitanti sembra inabissarsi e virare ad un pensiero che verte solo sui conti, sui debiti, sulle spese; una grande liquidazione dei progetti e dei sogni. Come siamo arrivati a questo?
Attraverso una mancanza di ipotesi. La città di Torino ha bisogno per rinascere di ritrovare la sua tradizione che è anche sicuramente industriale, che è diventata purtroppo una mono-cultura asfittica e perdente, ma con una vocazione turistica, trattandosi di una città bellissima e ricca di memorie storiche ed enogastronomiche. Ma è difficile pensare di sostituire la Fiat con il Salone del Gusto. Si tratta di iniziare un cammino che includa la cultura, la programmazione, elementi di eccellenza e aspetti di turismo che indubbiamente Torino, anche per le sue peculiarità, può indubbiamente offrire. Occorre comunque pensare in grande.
Cosa sarebbe opportuno fare per ripristinare fiducia, grinta, carattere, alla città? Trovare un modello da seguire, che so Amsterdam o Londra, per dinamismo e opportunità, o dobbiamo individuare e inventarci un’altra strada?
Le novità e gli adeguamenti funzionali della città nascono attraverso logiche interne, evidentemente ispirati da grandi trend europei e planetari. Non credo ci possano essere aspetti imitativi di metropoli come Londra o Amsterdam. Torino ha una sua specifica storia e ha avuto la capacità di reinventarsi in altre fasi delle sue vicende storiche, per esempio dopo l’assedio della città e dopo l’Unità d’Italia, dopo il trasferimento della Capitale. Oggi la sua cultura monocratica e post-sabauda, oltre che post-Fiat, ha bisogno di reinventarsi attraverso un processo di apertura che è solo iniziato. Devono finire le autocrazie dei soliti salotti parrucconi e cicisbei.
La politica possiede ancora la capacità di coinvolgere e costruire un’appartenenza, ha perduto la pietra focaia che accende passioni o, semplicemente ha smesso di usarla?
Sono in crisi le ideologie novecentesche e i grandi modelli che hanno guidato il Paese dal dopo-guerra ad oggi. Deve evidentemente essere rimossa una cappa plumbea di una visione in parte giustizialista e in parte conformista e in parte quella visione antiliberale che ha rappresentato la cultura catto-comunista negli ultimi 50 anni.
A cosa attribuisce il fatto e la responsabilità di non vedere e sottostimare le cose meritevoli e buone del nostro paese?
C’è un certo atteggiamento autolesionistico e auto-distruttivo che affligge gli Italiani da molto tempo e un’incapacità a vedere le proprie qualità e di esprimersi al meglio in ciò che rappresenta la peculiarità del pensiero italico. Torino esprime questa introversione al limite del masochismo, un po’ come qualcuno che dopo aver costruito un grattacielo, invece che trasferirsi a vivere nel migliore degli attici, ha deciso di risiedere nelle proprie cantine.
C’è un libro, un film, o uno spettacolo teatrale, che a suo dire rappresenti al meglio il nostro tempo e prefiguri un indizio interessante per il domani ?
Ho molto apprezzato il film dedicato a Romolo e Remo e alla nascita della monarchia. Tradisce quella dimensione del sacrale che forma la storia e la dimensione di un orizzonte di senso che si costruisce su un piano in cui spiritualità e mistero, mistica e concretezza, corpo e anima, non possono mai essere scissi. È lo stesso spirito che pervade per esempio la dimensione di una certa cultura che valorizza le tradizioni autoctone e nazionali dopo un cosmopolitismo inebetito.