Che avesse tutte le caratteristiche di una grande avventura lo si poteva immaginare, dare per scontato, anche solo per il fatto che si muoveva in un ambito titanico. Il tempo per i lavori. Vent’anni. La struttura interessata. Una fortezza. Un forte del primo ottocento arrampicato sul dorso scosceso di una montagna alle cui pendici scivola via freddissima e veloce la Dora Baltea.
Il forte ri-nacque sulle macerie di una Rocca che si rese memorabile per la resistenza opposta dall’esercito di Vittorio Amedeo II di Savoia alle truppe francesi nel 1704, nel corso della guerra di successione spagnola e in seguito all’Armée de réserve di Napoleone che nel 1800 l’assediarono. La rabbia di Napoleone per il forte lo indusse a distruggerlo. Fu Carlo Felice, timoroso di una nuova aggressione francese, a promuovere il rifacimento del Forte nel 1827, affidando il progetto all’ingegnere militare Francesco Antonio Olivero, ufficiale del Corpo Reale del Genio. I lavori si protrassero dal 1830 al ’38.
Oggi una mostra fotografica celebra i vent’anni dell’avvio del recupero del Forte di Bard. Attraverso una selezione di oltre sessanta immagini del fotografo torinese Gianfranco Roselli. Con il titolo Storia di un’avventura – Forte di Bard 1999-2019, il percorso fotografico documenta il lungo e complesso restauro architettonico che ha riconsegnato alla collettività la fortezza, facendone un importante polo culturale e turistico.
Scrive, Gianfranco Roselli, con particolare sagacia e coinvolgimento descrivendo il significato e la suggestioni del proprio lavoro.
“Durante l’intera fase di ristrutturazione del Forte di Bard, alla principale attività di documentazione fotografica canalizzata a monitorare puntualmente gli aspetti tecnici e costruttivi del cantiere, ho a ancorato una mia personale visione dello stesso luogo attraverso un percorso parallelo. Questo lavoro ha preso forma con il progetto editoriale “Storia di un’avventura”. Ho avuto il privilegio di essere testimone di una fase in cui il Forte riprendeva vita, come un organismo in movimento che respira e si trasforma.
L’idea di posare il mio sguardo su quei luoghi, attraverso il gesto fotografico, si tramutava in una forma di conoscenza, un approccio alla realtà più meditativo, un’osservazione più riflessiva sul mondo. Allo stesso tempo l’osservazione insistente e il continuo ritorno negli stessi ambienti ha generato un rapporto di confidenza e di affetto verso le stanze, gli spazi, le pietre, le scale, i corridoi, le rocce…
Ero attratto da un doppia forza, quella dell’ambiente montano, della materia nella sua forma libera, e quella dell’uomo, dell’artificio e della costruzione del suo universo; affascinato dai due rapporti di scala con la possibilità molte volte di invertire i due poli. Un processo di ibridazione tra natura e ordine, rigore del disegno architettonico, che rende possibile pensare a un luogo unico, intrecciato, con la capacità di dialogo.
A volte mi chiedevo se stavo facendo delle foto di architettura o dei ritratti, in cui facevo parlare le pietre, i mattoni, i muri, gli spazi luminosi o bui, e questa seconda ipotesi mi convinceva di più, anche perché dietro quei manufatti ci vedevo sempre la dignità dell’uomo stesso e del suo lavoro.
Le mie immagini – come il mio sguardo – cercano di essere sempre interrogative, mai affermative, volutamente semplici, facili, e preferibilmente gradevoli dal punto di vista estetico. Le inquadrature sul vetro smerigliato erano un continuo andare e venire tra gli spazi, i luoghi vuoti, metafisici, geometrici e il paesaggio circostante. Tra il paesaggio, il profilo dei monti generati dal caos primordiale e l’architettura del Forte, generata invece dall’uomo e dal suo sguardo razionale e funzionale, dalle linee rette, ortogonali, così distanti da tutto ciò che le circonda; due armonie così differenti e così antitetiche, fatte però della stessa materia.”
La mostra sarà ospitata fino al 17 novembre 2019, nell’ultima nata tra le sedi museali, l’Opera Ferdinando, quella che ospita il Museo delle Fortificazioni e delle Frontiere e che maggiormente conserva manufatti murari originali e permette una lettura degli interventi eseguiti, come ad esempio nel taglio delle solette o nel recupero degli intonaci.