“E’ solo un’influenza”: alcune cose che possiamo imparare da un errore.
Possiamo imparare una serie di cose da quello che sta accadendo in queste settimane. Vorrei provare a spiegarle partendo da due frasi che abbiamo sentito pronunciare moltissime volte nei giorni scorsi quando il corso dell’epidemia sembrava tutto sommato più incerto: “è solo un’influenza”, e il suo opposto “è qualcosa di diverso e di più grave di una semplice influenza”.
Intorno a questi due modi opposti di leggere il Covid-19 si è misurato il significato di ciò che intendiamo quando parliamo di conoscenza, di senso comune, e di decisione. Tutte questioni che investono, in modi diversi, almeno la scienza, la filosofia e la politica.
“E’ solo un’influenza”
Sarà deformazione professionale, ma tutte le volte che ho sentito pronunciare queste frasi mi è venuto in mente un famosissimo aforisma di Friedrich Nietzsche: “non esistono fatti, ma solo interpretazioni”. Notoriamente, la posizione di Nietzsche, che ha avuto larghissima eco nelle filosofie del Novecento, esprimeva un vero e proprio scetticismo verso la possibilità di conoscere, ovvero verso la capacità umana di formulare giudizi veri: al più potremo formulare giudizi che dipendono dal modo in cui siamo fatti, da come percepiamo e da come ragioniamo. Diventa perciò molto difficile capire come stanno davvero le cose se, in ultima analisi, la loro conoscenza dipende da noi.
Se ci pensate, l’oscillazione della lettura della patologia del Covid-19, sembrerebbe in fondo riflettere l’idea nietzschiana, tanto più che gli scienziati, nell’esprimere il loro orientamento, non hanno mostrato quella concordia assoluta che la gente avrebbe desiderato e la politica auspicato. Nelle fasi iniziali del contagio, alcuni virologi hanno infatti osservato, dati alla mano, che in termini di mortalità, di rapporto tra casi asintomatici e casi gravi, la malattia non sarebbe stata molto diversa dall’influenza. Le differenze più significative avrebbero probabilmente riguardato il numero più alto dei pazienti ricoverati in terapia intensiva, e il fatto che Covid-19 aveva dato segnali di particolare velocità nella diffusione del contagio. Altri virologi hanno sostenuto una posizione diversa, ovvero che l’influenza è altra cosa, suggerendo di affrontare la malattia mettendo in campo strategie mirate.
In questa confusione, va notato che la filosofia non ha dato una grossa mano, soprattutto quella che ancora accoglie echi del ragionamento nietzschiano. Giorgio Agamben, per esempio, in un articolo uscito sul Manifesto il 26 febbraio, sostiene grosso modo la tesi degli scienziati che hanno interpretato il Covid-19 come una variante dell’influenza, per poi rafforzarla con la componente complottista, sempre molto attuale.
La domanda che pone Agamben è all’incirca questa: se si tratta di poco più di una influenza, come sostengono alcuni scienziati, perché lo stato assume misure così oppressive in termini di limitazione delle libertà personali? Forse qualcuno ha l’obiettivo di costruire ad arte questa storia per esercitare una forma di controllo capillare sulla vita delle persone? Insomma, il potere vuole rendere permanente lo stato di eccezione?
Vediamo dunque che cosa possiamo imparare da questa situazione. Si tratta, dicevamo, di cose che concernono almeno quattro grandi ambiti della nostra vita: il senso comune, ovvero il modo ordinario di concettualizzare la realtà, la scienza, la politica e la filosofia.
Senso comune e scienza. La tesi di Agamben è evidentemente assurda e utilizza in modo strumentale alcune posizioni espresse dagli scienziati. E’ utile, perciò, osservare alcune cose. Esiste una obiezione di senso comune che possiamo muovere ai fautori della tesi della variante dell’influenza. Si tratta dello stesso argomento che Moore ha opposto a Kant che considerava uno scandalo epistemologico il fatto che l’esistenza di cose al di fuori di noi, ovvero fuori dalla nostra mente, debba essere accettata per fede.
Per dimostrare l’esistenza delle mie mani — sostiene Moore — basta alzarle, accompagnare il movimento della mia mano destra all’affermazione “ecco qui la mia mano” e indicarla con la sinistra. Tutto qui. E’ sufficiente esercitare il senso comune per mostrare che influenza e il Covid-19 non sono la stessa cosa e probabilmente nemmeno cose simili: ciò che è successo in Cina permetteva di trarre queste conclusioni già alcune settimane fa.
Scienza e politica. Va poi osservato un altro punto. La medicina non è una scienza esatta, come del resto non lo è l’economia. Questo vuol dire, prima di tutto, che lo statuto epistemologico di queste scienze è diverso da quello della matematica o dalla logica, ma anche della fisica.
Medicina ed economia sono scienze empiriche che formulano ipotesi a partire da una realtà che non è infinitamente interpretabile, ma che per fortuna pone dei vincoli robusti. Tuttavia quel margine di interpretabilità fa sì che l’accordo tra gli scienziati per lo più non sia assoluto. Un certo disaccordo, infatti, fa parte della stessa struttura epistemologica della scienza, ma non per questo siamo autorizzati a concludere che il virus è una costruzione del sistema o che il cambiamento climatico non è un problema. Se è proprio della scienza non esprime pareri completamente concordi, perché è fatta così, rimane fondamentale il ruolo della politica. E’ evidente che, in questo quadro, l’esercizio della decisione politica non può essere surrogato dalla scienza.
Scienza e valori. Un altro punto che credo debba interessare la comunità scientifica riguarda il rapporto tra la scienza, la realtà e i valori a cui gli scienziati fanno riferimento per formulare le loro opinioni. Che cosa significa per scienze empiriche come la medicina o l’economia confrontarsi con la realtà, soprattutto quando i modelli o le statistiche sembrano incapaci di spiegare quanto accade nonostante siano formalmente corretti?
Per esempio, anche nello scenario, oramai altamente improbabile, in cui l’influenza provocherà in termini assoluti più morti di quelli del Covid-19, questo dato indicherebbe davvero qualcosa di significativo se confrontato con il collasso degli ospedali che non sono più in grado di curare i malati, dei cimiteri che non possono più seppellire i morti o di intere comunità nelle quali i figli non possono stare accanto ai genitori che muoiono? Quali valori, oltre all’analisi oggettiva del dato, guidano la formulazione dell’ipotesi scientifica?
Filosofia. Veniamo, infine, alla filosofia. I grandi filosofi non si sono mai presi gioco della realtà, semplicemente perché in genere l’hanno considerata come la più seria di tutte le cose. Per spiegarne la complessità hanno inventato metafisiche, analizzato circostanze, riformulato problemi, immaginato mondi possibili. L’hanno sfidata, come ha fatto Nietzsche uscendone sconfitto, e in genere l’hanno rispettata.
La posizione di Agamben, nella suo essere inutilmente radicale, in questo momento storico — a mio avviso — ha due colpe, entrambe particolarmente gravi: è superficiale ed è irresponsabile. E’ superficiale poiché prova a spiegare una realtà quanto mai complessa per mezzo di una sola idea, l’esercizio complottistico del potere politico, ed è irresponsabile, nel doppio senso della etimologia della parola respondeo (rispondere di qualcosa e rispondere a qualcuno) poiché sottrae la filosofia al suo compito principale, l’impegno a fornire spiegazioni non dogmatiche attraverso l’esercizio del pensiero critico.
Articolo di Giorgio Agamben: https://ilmanifesto.it/lo-stato-deccezione-provocato-da-unemergenza-immotivata/
Tiziana Andina