Luis Sepừlveda e l’arte di vivere
Morto a settant’anni a causa del Covid 19, lo scrittore cileno Luis Sepừlveda (Ovalle, 4 ottobre 1949 – Oviedo, 16 aprile 2020) è uno dei tanti malati che ha conosciuto e lottato contro un mostro invisibile, un male tremendo, forse “il male” per antonomasia di questo momento storico.
Eppure, fino alla fine ha creduto di farcela, ha sperato di rinascere, ha combattuto con la forza di chi, stremato, non si dà pace e non vuole abbandonare la vita, la cosa più preziosa che l’uomo ha e che adesso sta cercando di proteggere con tutte le sue forze, e anche oltre …
Giornalista, sceneggiatore, poeta, regista, attivista, combattente, Luis Sepừlveda è uno scrittore controverso, una voce fuori campo, un uomo concreto, pazzamente innamorato del pianeta e della forza dell’umanità, un uomo deciso e in parte vittorioso, ma anche fragile, come tutti gli uomini sensibili, amanti della solitudine e stranamente audace e impaziente nel cambiare il mondo, partendo dalle cose semplici.
La sua scrittura è totalmente creativa e diretta, mai ricercata, proprio per quella voglia di parlare al cuore e di scoprire nel cuore del linguaggio, il valore dell’assoluto e dell’eterno che, in modo misterioso per Luis Sepừlveda, è dentro l’uomo, nel suo essere se stesso, con le sue paure e fragilità.
Mai come adesso la favola “non favola” de La storia di una lumaca che scoprì l’importanza della sua lentezza, è più che attuale. Nella vulnerabilità di questo animale lento e piccolo si annidano le domande dell’uomo omologato di oggi, indeciso e vago. Sarà un caso – o forse no – in questo momento storico squilibrato ed incerto, Ribelle (così si chiama la lumaca) nel suo viaggio solitario di scoperta, attraverso i consigli, i sorrisi, gli incoraggiamenti e le sofferenze della sua comunità, impara i principi umani di solidarietà, fratellanza e rispetto.
Valorizza la caparbietà della volontà e la tenacia dei sogni impossibili, il valore della gioia e l’importanza dei suoi limiti, quali la lentezza e la fragilità. Col suo camminare costante e tranquillo, si rivela vittoriosa e speranzosa. Ribelle non appare mai rassegnata, ma è sempre curiosa e grata per ciò che ha o può ancora avere, per i traguardi raggiunti e per quei limiti futuri che non teme, ma vuole affrontare con ottimismo e gioia. E poi apprezzerà, grazie agli animali che incontrerà lungo il suo cammino, il valore che riveste ogni piccola creatura, di questo nostro grande mondo, animale e vegetale che sia.
Un esempio per tutti noi che siamo costretti a rivedere i nostri modelli di comportamento ed a riscoprire, forse, nella lentezza della vita quotidiana di oggi, i valori umani veri e il gusto delle relazioni intime e personali.
Luis Sepừlveda dà voce a chi non ce l’ha, risana in modo del tutto gratuito la spaccatura tra il mondo e l’uomo. Forse perché ha conosciuto il carcere, la tortura, l’esilio, la sofferenza umana degli Indios della Patagonia e dei vagabondi, dei guerrieri e dei dimenticati. La sua denuncia è schiacciante, sì, ma mai invadente.
Attraverso la bellezza delle sue favole e delle sue storie (si pensi per esempio a Il vecchio che leggeva romanzi d’amore del 1989 o alla favola-parabola Storia di una Gabbianella e del Gatto che le insegnò a volare del 1996) Luis Sepừlveda propone sempre una riflessione, umana e letteraria, una riflessione concreta, un inno, una chiave di lettura, forse, di com’è veramente l’uomo e il mondo, o come dovrebbe essere. E in questo è davvero unico!
Maria Giovanna Iannizzi