Si dice che Dio si celi nei dettagli e mai un detto sembra appropriato come nel caso della vicenda del Recovery Found. Il dettaglio che ci interessa, e che ha una importanza enorme a livello simbolico, è il cambiamento di denominazione utilizzato dalla Commissione Europea per lanciare lo strumento che, nelle intenzioni, arginerà le disastrose conseguenze della pandemia. Non più Recovery Found, ma Next Generation EU.
Al di là delle residue resistenze politiche dei paesi cosiddetti frugali e dei dettagli operativi del piano, credo che alcune questioni meritino l’attenzione degli osservatori. In primo luogo, una riflessione va riservata agli obiettivi dell’operazione. Il piano europeo intende sviluppare azioni che si incentrano intorno a due obiettivi: il primo necessario, il secondo ambizioso, mentre evidentemente gli strumenti finanziari serviranno per dare attuazione concreta alla strategia complessiva.
L’obiettivo necessario è chiaro a tutti e consiste nell’evitare il collasso delle economie di alcuni stati membri, tra cui certamente l’Italia. Questa azione di per sé è già preziosissima, s’intende, e tuttavia la Commissione Europea ha chiaramente alzato la posta poiché l’obiettivo necessario, da solo, sarebbe stato di mero galleggiamento e avrebbe impedito all’Europa di cogliere le opportunità aperte dalla crisi.
Ogni crisi, infatti, come opportunamente sottolinea l’economista Joseph Schumpeter, rivela precise opportunità purché le società sulle quali impatta non abbiano carattere puramente “estrattivo”. Per dirla con un linguaggio più diretto, purché una società sappia organizzare risposte capaci di innovare, ovvero che non si limitino ad estrarre dal contesto le risorse che già sono in qualche misura disponibili. Più o meno questo è il significato non retorico di affermazioni quali: “per crisi eccezionali bisogna prevedere risposte eccezionali”. In altre parole, per crisi eccezionali non possiamo prevedere risposte che mirino semplicemente alla ricostituzione dell’ordinario, proprio perché il tempo della crisi non permetterà di occultare tutte quelle crepe che normalmente riusciamo a gestire e a mantenere, in qualche modo, sotto controllo.
Veniamo ora al secondo obiettivo. La Commissione Europea ha fornito una risposta che a mio modo di vedere presenta carattere di eccezionalità poiché ribalta i paradigmi a cui siamo abituati, prima di tutto come italiani e poi come cittadini europei. Questo obiettivo ha una natura strategica e si prefigge di utilizzare le opportunità che si apriranno durante la transizione alla “normalità”, per indurre gli stati membri a orientare il futuro.
“Realizzare l’impossibile: una Next Generation EU, per una Next Generation IT”
Per farlo, dovranno essere adottati valori che pongano al centro lo sviluppo sostenibile, scoraggiando il consumo delle risorse ambientali e l’utilizzo indiscriminato delle risorse comuni. Così facendo sarà favorita una maggiore equità transgenerazionale. Si tratta di una sfida importante, che è cruciale sia per il contesto geopolitico nel quale ci troviamo, fortemente esposto a involuzioni populiste, sia perché rappresenta, a oggi, uno dei pochi progetti capaci di rappresentare i tradizionali valori dell’occidente in termini di progresso della ragione e di rispetto dei valori umani.
Dei due grandi blocchi politico-sociali che guidano sotto il profilo culturale ed economico il mondo occidentale, l’Europa e gli Stati Uniti, la prima sembra dunque avviarsi ad assumere la leadership internazionale. Questo non solo poiché — se le sue azioni sapranno finalmente essere all’altezza delle dichiarazioni —- si adopererà per attuare politiche di mutua solidarietà che avvicineranno i popoli, ma anche perché, così facendo, acquisterà finalmente peso e carisma politico internazionale.
New Generation EU mostra cioè di voler mettere in campo una visione del futuro: una nuova generazione europea colta e solidale, consapevole di costituire un anello della catena transgenerazionale. Ma Dio, dicevamo, si cela nei dettagli.
Se questo quadro induce a un cauto ottimismo, prudente per il fatto di essere stato così a lungo frustrato dalle scelte inconsistenti o sbagliate della Commissione Europea e dei paesi membri, un’altra questione preoccupa assai di più. Quella questione siamo noi. Nei prossimi mesi, l’Italia dovrà saper fare una cosa che gli è riuscita raramente, probabilmente soltanto durante il dopo guerra: dovrà liberarsi delle incrostazioni dell’apparato burocratico, porre fine alle numerose strategie per il galleggiamento che conosce e attua benissimo, per immaginarsi una Next Generation IT, senza la quale, temo, sarà tutto vano.
Non sarà affatto semplice: occorreranno un nuovo sistema e una nuova consapevolezza fiscale, una burocrazia che controlla ma non ostacola, imprese che non rinuncino a fare ricerca e sviluppo, un sistema giudiziario efficiente e trasparente. Occorrerà poi ridisegnare il Welfare: soprattutto formazione, sanità e pensioni. Bisognerà che qualcuno spieghi agli italiani che non ha senso, in termini di sostenibilità del sistema, andare in pensione a 62 anni, a meno di non fare lavori davvero usuranti; e i genitori dovranno spiegare ai figli che la formazione continua è l’unico ascensore sociale che permette, se ben usato, a giovani e meno giovani di vivere una vita migliore.
Bisognerà, ancora, che qualcuno spieghi che non c’è alternativa alla complessità: poiché il destino degli esseri umani è perseguire la ricerca scientifica e e lo sviluppo tecnologico. Scienza e tecnica producono sapere e complessità i quali, a loro volta, devono essere direzionati attraverso le scienze umane.
E occorrerà ripensare il lavoro, sapendo che è destinato a ridursi drammaticamente almeno per quelle che sono le mansioni meno qualificate. La crisi ci sta mostrando chiaramente che riusciranno a salvarsi sole le professionalità ad alto valore aggiunto, orientate a creare innovazione continua. Perciò bisognerà esplorare strade nuove per immaginare lavori che impieghino competenze di qualità, lasciando le macchine a svolgere le mansioni residuali che non sono all’altezza delle capacità, straordinarie, che identificano l’umano: pensiero, immaginazione, invenzione ed esercizio della scelta.
Sarà dunque necessario accordarsi su dove vogliamo arrivare, su che cosa vogliamo essere, per capire quali strumenti occorra mettere in campo per arrivare là dove abbiamo posto i nostri obiettivi.
Insomma, dovremo non aver voglia di tornare alla “normalità” degli ultimi quarant’anni, per dar vita a una Next Generation IT: una generazione che aspiri a dare forma a un modello di conoscenza nuovamente universale, in cui la filosofia e le arti delineino un perimetro di valori nel quale scienza e tecnica, intelligenza artificiale e tecnologie digitali, forniscano alle prossime generazioni gli strumenti per essere la migliore versione di loro stesse.
Tiziana Andina