Disobbedire all’inevitabile
Quarantena, distanziamento e mascherine hanno rilanciato la “teoria del complotto”. A giudizio di alcuni, le misure per contenere e contrastare l’epidemia di Covid19 sarebbero strumenti di controllo sociale attraverso i quali i potenti cercherebbero di garantirsi la nostra obbedienza. La conseguenza, in termini pratici, è che, per sottrarci alla presa del potere e tutelare la nostra libertà, dovremmo semplicemente disobbedire alle leggi.
Un “teorema” di questo tipo di solito è difficilmente confutabile perché si fonda su paure irrazionali che, per definizione, risultano impermeabili a qualsiasi argomentazione di carattere logico. Succede anzi che la logica, molto spesso, sia a sua volta guardata con sospetto, alla stregua di un incantesimo con cui si cerca di abbindolarci: le nostre paure tratteranno la razionalità stessa come un camuffamento o, se vogliamo, l’involucro presentabile che nasconde gli oscuri intrighi del potere. E, si dice, è proprio a questo che occorre ribellarsi.
Contro questi assunti e le loro conseguenze si potrebbe osservare che, nell’odierna società digitale, il potere dispone di strumenti di controllo ben più efficienti e invasivi e, al contempo, meno visibili rispetto a quelli messi in campo contro l’epidemia di Covid19.
Nell’era dei big data non c’è davvero bisogno di limitare la libertà di movimento per garantirsi il controllo delle persone, anzi quella limitazione rischia di essere controproducente.
Tecnologia a parte, negli ultimi decenni la strategia di controllo che il potere ha prediletto è quella della “neutralizzazione della politica”. In base a questa prassi, scelte ideologicamente ben connotate vengono presentate come neutrali o addirittura scientificamente inevitabili.
Tanto per darle un nome, potremmo chiamarla “Strategia Tina”, acronimo del celebre motto “There is no alternative” con cui Margaret Thatcher presentava le sue politiche economiche e sociali. La Lady di Ferro fu in effetti la più nota precorritrice di questo approccio: i suoi programmi politici di chiara impronta liberista e conservatrice – dalla privatizzazione dei servizi sociali al licenziamento in massa dei minatori, dalla deregolamentazione dei mercati ai tagli draconiani della spesa pubblica – furono proposti e finirono per diventare egemoni grazie alla veste di oggettività scientifica che venne loro cucita addosso.
Non c’è alternativa, per l’appunto. La politica, così pretendeva la Thatcher, deriva dalla bronzea necessità della scienza economica. Chi mai potrebbe opporsi?
Non sarà difficile rintracciare in tutto ciò le origini di quella che, negli ultimi decenni, abbiamo chiamato tecnocrazia. Da tempo ci viene detto che esistono dei limiti “naturali”, “scientifici”, ai quali la “buona” politica deve adeguarsi senza pretendere di metterli in questione. I vincoli di bilancio, il contenimento di debito e deficit, la riduzione del ruolo pubblico nell’economia ne sono degli esempi.
Ne viene che decisioni come quella di operare tagli consistenti alla spesa pubblica – dalla scuola alla sanità, dalla ricerca ai trasporti – possono essere presentate non come precise scelte politiche, ma come conseguenze delle inscalfibili leggi che governano la realtà e che sfuggono al nostro volere.
L’aspetto interessante è che questa strategia di neutralizzazione ha finito per essere accettata dalla maggior parte della popolazione e dalla quasi totalità delle classi dirigenti. La concezione secondo cui una necessità naturale, e non le idee o le ideologie, governa il nostro vivere sociale è diventata quasi senso comune, e non è davvero un caso che, in anni recenti, la politica sia stata vista sempre di più come un inutile orpello e che essa stessa abbia fatto di tutto per squalificarsi nella sua dimensione di scelta e indirizzo.
Di fronte all’inevitabile a che serve discutere e decidere?
“Non c’è alternativa”: è con questo programma che il potere agisce in profondità, senza costringerci con la forza a obbedire, anzi garantendosi il nostro consenso spontaneo, creando e alimentando il pregiudizio della sua neutralità. Così è, ci viene detto, e l’eccezione non va intesa come diversità politica, ma come anormalità patologica.
La realtà, tuttavia, non sempre si piega ai desideri del potere e a volte si incarica di smentire il senso comune. Le ripetute crisi che abbiamo attraversato di recente – quella finanziaria scoppiata nel 2008 e quella, appena iniziata, dovuta all’epidemia di Covid19 – ci hanno mostrato che l’asserita assenza di alternative molto spesso non è che una giustificazione di scelte politiche reversibili. Non esiste alcuna necessità, a livello di comportamenti e vita sociale, che non possa essere modificata, alterata, al limite annullata.
Non abbiano davvero bisogno di ricorrere a improbabili teorie del complotto per riconoscere il potere e tentare di sottrarci alla sua presa. Il potere non sta in luoghi reconditi e isolati, ma opera attraverso le nostre credenze, attraverso ciò che riteniamo normale e necessario. Per sottrarci alla sua presa non serve togliersi la mascherina. Occorre piuttosto ribellarsi al nostro “buon senso” e contestare la presunta neutralità delle scelte, riscoprendo il loro valore politico. Occorre, in breve, disobbedire a ciò che crediamo inevitabile.
Stefano Marengo