Dal Festival delle Piccole storie organizzato dalla Rete italiana di cultura popolare, in collaborazione con Polo del 900. COVID19: 100 DI QUESTI GIORNI. Le risposte dei medici in trincea a Torino
Questo il titolo provocatorio per il dialogo a più voci, svoltosi martedì sera 14 luglio presso Lo spaccio di cultura della “Portineria di comunità” in Piazza della Repubblica. Quattro le testimonianze dei sanitari che hanno coraggiosamente raccontato la propria esperienza e la lezione che hanno imparato dall’emergenza Covid19.
Quattro nomi molto noti nella sanità torinese: Patrizia Mathieu medica di base e presidente del Concistoro valdese di Torino, Domenico Martelli del sindacato dei medici, Libero Ciuffreda primario reparto di Oncologia alle Molinette trasformato in Covid, Sergio Livigni direttore Anestesia Rianimazione del San Giovanni Bosco e coordinatore delle terapie intensive dell’Unità di crisi in Piemonte.
“Sapevo che la sanità pubblica fosse stata indebolita negli anni da scarsi investimenti, ma non pensavo così tanto”: apre così il suo discorso la dott.ssa Mathieu, che racconta le sue sconcertanti scoperte come medico di base alle prese con l’emergenza sanitaria. In particolare, la solitudine della medicina del territorio, la mancanza di dispositivi di sicurezza, lo spaesamento su come segnalare e curare i pazienti contagiati… E ancora: come gestire le emozioni, i lutti massicci anche di colleghi medici caduti sul campo, mentre imperversava la retorica del medico eroe. Su questo la Mathieu è secca e chiude con una battuta lapidaria: “Un medico eroe è un uomo morto, meglio un professionista vivo in una struttura che funziona!”
Le fa eco il dott. Martelli, che parla di “progressivo disfacimento” nella sanità pubblica, spesso a beneficio di quella privata, soprattutto in alcune regioni del Nord dove si è diminuito il valore del medico sul territorio: “Questa pandemia – dichiara- dovrebbe insegnarci che dove la sanità privata era più massiccia ci sono state le tragedie peggiori, come in Lombardia. La politica avrà imparato la lezione? Sono preoccupato per il futuro, anche se riconosco che molti di noi hanno una gran voglia di cambiare il sistema sanitario, tutti insieme.” In Piemonte infatti mancavano letti e personale, gli ospedali hanno spesso strutture vecchie e le camere a più letti sono ambienti di contagio. E’ tempo di cambiare, e con urgenza.
Parla di tre autogoal della sanità piemontese il dott. Ciuffreda, pur riconoscendo la direzione efficace delle Molinette: vede una prima sconfitta sul territorio con l’abbandono dei medici di base, un secondo goal che ha colpito gli ospedali i cui ambienti stipati han favorito il contagio, infine un terzo elemento straziante rappresentato dalle Rsa.
“Negli anni passati – ribadisce –abbiamo smantellato la sanità pubblica pensando che avessimo tempo per curare essenzialmente malattie croniche, invece col Covid non abbiamo avuto tempo! Non era il tempo kairòs ma il tempo chronos, bisognava agire subito. Invece è mancata una regìa, una linea immediata ed efficace.”
Per lui, come per i colleghi intervenuti all’incontro, testimoniare è ora un’assunzione di responsabilità per non dimenticare e per attivare strategie e miglioramenti: “in tanti abbiamo firmato un appello al governo affinché si prendano i fondi del Mes destinati alla sanità, in Piemonte dovrebbero arrivarne 2 miliardi utili per colmare le lacune in caso di ripresa dell’epidemia.”
L’ultimo intervento è tutto per il dott. Livigni, che con la sua pacatezza sottolinea alcuni aspetti dell’esperienza vissuta e lancia la proposta di un nuovo modello nel sistema di cura, sperimentato nel centro allestito alle OGR. Per Livigni infatti la “relazione” è parola chiave: relazione innanzitutto col paziente, come avveniva prima del Covid nel reparto di rianimazione da lui diretto al San Giovanni Bosco, dove i familiari potevano stare accanto al malato 24 ore.
Relazione tra medici di differenti specializzazioni: così infatti Livigni ha impostato la cura degli ammalati anche gravi nel centro Covid allestito alle OGR. Spiega: “Anche se all’inizio non è stato capito, ho voluto integrare professionisti di tutte le discipline, dagli intensivisti ai riabilitatori agli psicologi ai fisioterapisti ai nutrizionisti… insieme senza barriere per una risposta globale alla persona e in stretta continuità col territorio.”
Una lezione suggerita anche dai medici cubani che hanno collaborato molto bene nei contatti sul territorio, forti della loro esperienza di medici di comunità. E aggiunge “Forse i medici ospedalieri dovrebbero poter uscire e integrarsi meglio col territorio.”
Covid19: 100 di questi giorni? Speriamo proprio di no e di imparare qualcosa da quei giorni terribili.
I medici presenti sono unanimi: il pericolo Covid non è finito, siamo esposti a una nuova possibile ondata di contagio, dobbiamo piuttosto cogliere il tempo estivo per far tesoro dell’esperienza vissuta e stabilire nuove buone pratiche. Un impegno che coinvolga non solo politici e sanitari, bensì i cittadini tutti, corresponsabili della buona salute del sistema sanitario pubblico e di una convivenza sociale consapevole.
Chiara Tamagno