L’Intelligenza artificiale, la città di Torino e il suo futuro, la Chiesa e la tecnologia. Intervista a tutto campo a Don Luca Peyron.  Torino, 1973, presbitero diocesano è direttore della Pastorale Universitaria di Torino e regionale.

Il nuovo centro per la Intelligenza artificiale è arrivato a Torino grazie alla sua grande intuizione. Se dovesse spiegare l’intelligenza artificiale con semplicità ad un gruppo di bambini, cosa direbbe?

L’intelligenza artificiale è come un mulino ad acqua come quello dei biscotti: una macchina con diversi ingranaggi, alimentata da un corso d’acqua che sono i dati che arrivano da una riserva, come una diga – il data base – o da sensori che li producono in diretta come può essere la pioggia che si riversa nel torrentello del mulino, il mulino girando produce qualche cosa che è utile agli esseri umani.

Non capita sempre di vedere la Chiesa in prima linea su temi tecnologici. Com’è arrivata l’intuizione di Torino capitale dell’intelligenza artificiale?

Perché la Chiesa è in prima linea sui temi tecnologici più di quanto si pensi. La nostra diocesi è una delle prime al mondo ad avere una struttura stabile che se ne occupa, il servizio per l’Apostolato Digitale che insieme ad Ivan Andreis ho l’onore di coordinare. L’intuizione è arrivata studiando il fenomeno ed i documenti che governi ed istituzioni man mano producono insieme alla letteratura di settore.

A che punto è la costituzione dell’Istituto italiano per l’intelligenza artificiale?

Ad un bivio rispetto al finanziamento. Le incertezze sul governo pesano molto. La notizia buona è che la previsione della sua esistenza e l’assegnazione a Torino è ormai dato certo.

C’è l’emergenza nascosta della pandemia, quella che riguarda i giovani e i bambini. Dall’abbandono scolastico ai dati allarmanti del Regina Margherita sull’incremento dei tentativi di suicidio tra i giovanissimi. Si sta facendo abbastanza per loro?

Credo che tutti noi dobbiamo fare fronte ad una situazione inedita e l’unico modo per farlo davvero è mettere il bene comune al centro. Su questo il fare ed il pensare non sono mai abbastanza, perché è una avventura che non ha fine, ma anche una sfida che ci rende umani

Lei è Professore universitario all’Università Cattolica di Milano. Cosa ne pensa della gestione delle scuole e delle università durante questa fase pandemica?

Credo che debba insegnarci molto sulla nostra didattica nel suo insieme. Nel futuro saremo sempre meno chiamati a trasfondere nozioni e sempre di più a rendere gli studenti capaci di conoscenza e curiosità, questo comporta una didattica in presenza e solo in modo residuale strumenti didattici in remoto. Questo tempo è stata una buona lezione per tutti su quali direzioni prendere e quali no. La tecnologia non può sostituire il rapporto educativo, lo può mediare meglio o peggio, ma non di più perché il rapporto educativo è un rapporto generativo e la vita si genera con la collaborazione delle macchine, ma non è generata da alcuna macchina da sola.

Come vede Torino oggi?

Una bellezza sfiorita che non sa come riprendersi, troppo legata ad un certo passato, troppo poco consapevole delle sue capacità. Facilmente lamentosa come se qualcuno le avesse rubato qualche cosa. Quand’anche fosse accaduto, trovo incomprensibile come si chieda proprio a quel qualcuno di toglierla dai pasticci. Molti di coloro che prendono decisioni devono capire di aver già dato a sufficienza al tempo che li ha collocati in quelle posizioni, è invece venuto il momento che restituiscano al futuro. Chi ha potere lo usi per il domani non per omaggiare il giorno che è ormai tramontato.


Da nipote di un Sindaco di Torino, cosa si aspetta dal prossimo Sindaco di Torino?

Che i suoi nipoti siano fieri di lui, che ogni volta che viene pronunciato il loro cognome possano qualcuno chieda di loro nonno, di loro nonna e possano ascoltare aneddoti carichi di umanità e di verità, che possano dire che vale la pena lottare per questa terra se uomini e donne così l’hanno dissodata e seminata per loro. Mi aspetto che serva la carica e non si serva mai di essa e che possa circondarsi di persone migliori di lui scelte per quel motivo.

Tommaso Varaldo