Non sono solo parole…

Le parole sono indipendenti dalle azioni o le azioni sono condizionate dalle parole?
Ogni parola nasconde un significato recondito che plasma e presenta l’individuo?
Le parole pronunciate identificano l’essere umano, lo collocano in una dimensione di relazionalità e di socialità, ma anche di rifiuto o di giudizio. Lo presentano nella sua veste effettiva.

Quindi, le parole non sono solo parole.
Sono la scena ideale delle immagini reali, la porta d’accesso verso la scoperta delle emozioni, dello stato d’animo di chi parla. La scelta delle parole, quindi, non potrà mai essere una scelta casuale.
Per questo l’utilizzo improprio dei termini o il turpiloquio non sono ammissibili, perché generano disagio, a volte sconforto, sicuramente ribrezzo. Il turpiloquio, inoltre, inibisce la parola, ostacola il dialogo e diventa violenza emotiva.
Purtroppo, ultimamente l’utilizzo costante delle imprecazioni e degli insulti è ormai presente in diversi ambiti sociali: in televisione, nei social network, al lavoro, in famiglia, tra amici, anche in politica e nei testi delle canzoni. Un caso o un esempio di degrado culturale?
Espressioni semplificate, impoverite o azzardate, combinazioni stravaganti e mancanza di argomentazioni non rappresentano un avanzamento linguistico, ma un deterioramento progressivo dell’espressione lessicale, scritta e orale. E i nostri giovani ne risentono irrimediabilmente.
Il motivo principale di questo determinato comportamento persuasivo in chiave di propaganda perenne è la ricerca del consenso, che genera però disaffezione nei confronti della lingua e provoca povertà educativa.
Arriva ad essere anche un pericolo per il diritto, la conoscenza, il costume sociale e la democrazia.
Pochi sono i politici che possiedono la capacità di servirsi della lingua in modo appropriato, che rinunciano ai soliti automatismi retorici e vogliono, in maniera semplice e diretta, educata e rispettosa, comunicare e mediare.

.. Se ne dicon di parole . . . 

Molti sono invece quelli che utilizzano termini generici e biforcuti, quelli cioè che possono significare anche il contrario di ciò che viene detto. Per non parlare poi delle accuse e delle battute triviali, delle urla e delle risse inopportune in qualsiasi contesto sociale o ufficiale.
Questi personaggi svuotano il senso delle parole e non aiutano a pensare, a capire, a partecipare. Chi li ascolta rimane fortemente sbalordito e irritato. A volte non ci si rende conto, ma chi utilizza espressioni a vanvera e una retorica asfissiante anche nel tono trasuda insicurezza, non appare mai risoluto e preparato, non ha le idee chiare e perde di credibilità.

L’unica arma che possiede è il contrattacco, facendo sfoggio di neo-coniazioni dissuadenti, ma poco veritiere. Oppure di parole alla moda, frasi fatte, cliché, termini presi in prestito dalle altre lingue. In questo caso i virtuosismi si moltiplicano all’infinito e si finisce di parlare di cose banali, sciocche o scadenti. Si camuffa il senso del discorso attraverso l’uso eccessivo di gergalità e le parole vanno e vengono, ma non rimangono, non si imprimono nell’animo di chi ascolta e di chi vorrebbe argomentare o scegliere.
I pensieri di un uomo traspaiono nel proprio modo di parlare e di essere, nell’equilibrio e nella saggezza di possedere al massimo livello l’arte della parola.
Qui, direbbe Cicerone nel De oratore “ risiedono non solo il suo stesso prestigio ma anche la salvezza dei singoli cittadini e quella dello stato”.
A buon intenditore…

Maria Giovanna Iannizzi