ANGELO TRONCA UN CINICO ROMANTICO TEATRANTE

Angelo Tronca, la prima volta che lo vedemmo in scena era ad uno spettacolo al teatro Gobetti di Torino tramite la rappresentazione “Le Baruffe Chiozzotte” di Carlo Goldoni diretto da Jurij Ferrini.

Appena salì sul palco notammo subito la sua presenza scenica, era ironico e sarcastico allo stesso tempo e per quanto il suo personaggio non fosse tra i principali lui riuscì a dargli una forza e una personalità tutta sua, insomma, lui usciva fuori e lo faceva a suo modo. Pensammo così da andare ad assistere ad altri suoi spettacoli per capire se era il personaggio che aveva interpretato a renderlo così insolito o se era lui ad esserlo.

E non ci sbagliammo perché questo attore Torinese classe 1984 riesce a tirar fuori tutti i colori che necessitano respiro e  intrappolano nel suo modo scenico come una calamita.

Appare ironico, saccente, sfacciato, proviamo a conoscerlo meglio.

Angelo Tronca

Angelo Tronca

Cosa ti trasmette il “teatro” e cosa vorresti che la gente percepisse dalle tue rappresentazioni sceniche?

Il teatro in realtà è uno strumento e quindi non mi trasmette nulla. E’ come se ad un cuoco chiedessero: “cosa ti trasmette una padella?” Dipende come lo usi il teatro, insomma cosa ci metti dentro. Per quanto riguarda la concezione romantica del teatro, le luci, lo scricchiolio delle tavole del palcoscenico, l’odore” del teatro e tutta quella retorica lì… preferirei non sentirlo più. Piuttosto mi faccio due uova al tegamino. Giusto per tornare al tema della cucina. Non vorrei che la gente percepisse nulla di particolare. Anche qui, siamo troppo legati ad una idea di teatro romantica dove la gente dovrebbe, che so dire, emozionarsi o commuoversi o ridere. Boh. In realtà un teatrante ha una sua idea di mondo e la mette in scena, il pubblico poi potrà decidere che reazione avere.

Erroneamente si pensa che il teatro illumini le persone per mostrarci quanto sia bella o preziosa, per far vedere cosa “ha dentro”. Questo è il risultato della nostra società onanistica ed individualistica che si masturba sul concetto di identità. Per poi non venire neanche più ovviamente. Dentro c’è solo il pancreas, come diceva un mio vecchio maestro e il teatro non ha la funzione di impreziosire qualcuno. Piuttosto da a qualcuno temporaneamente il potere di essere tramite di un messaggio, che a livello ideale dovrebbe essere la catarsi. Ma ogni spettatore ha le sue reazioni. Io da alcuni spettacoli sono uscito incazzato. Ed ero molto contento di esserlo.

Il teatro è uno dei settori che ne risente di più in questo momento, come stai vivendo questa situazione?

A metà tra la creatività di Dalì e la disperazione di Van Gogh. Non che Dalì non fosse disperato e Van Gogh creativo, ma questa è un’altra storia.

Siamo stati ad assistere a più di un tuo spettacolo, e bisogna dire che il tuo modo di essere e di rappresentare  colpisce particolarmente. Attore o drammaturgo, quale delle due facce ti appaga di più?

Spesso si tendono a separare queste due attività e per certi versi ci sono alcuni vantaggi in questa separazione, per contro io le ho sempre vissute come fuse. Un attore e ciò che dice sono la stessa cosa. Il testo come entità neutra non esiste, anche fosse Shakespeare, sarà l’attore a manipolarlo, a “masticarlo” come si dice in gergo e a renderlo suo. Così come un vero drammaturgo non può scrivere asetticamente. Scriverà per qualcuno, immaginandosi che quelle battute escano da tizio piuttosto che da caio. Almeno così faceva anche Shakespeare.

Cosa ti manca di più in questo momento?

Il contatto fisico.

Hai in programma nuovi progetti?

Talmente tanti che non riesco a fare ordine. Ho pure una scaletta giornaliera per cercare di dare una forma a tutte le idee contorte che ho. Uno tra tutti è la creazione di “Moby Dick concerto”; una esperienza uditiva ed immersiva, in cuffia, del Moby Dick di Melville.

Essere o non essere, tu cosa vorresti essere?

Amleto non l’ho mai capito. Ogni volta che lo vedo in scena (il personaggio non certo l’attore) mi verrebbe voglia di prenderlo a calci nel culo e dirgli di ammazzare Claudio che siamo già al quarto atto e non è successo nulla. Per quanto mi riguarda se riesco a non annoiarmi è già una vittoria.

Alessandra Nunziante