Chiudere e serrare, queste le parole mantra del momento. Applicabili a tutto e a tutti. Indiscriminatamente. Come castelli medievali dalle alte mura merlate, il perimetro difeso da un fossato e peccato non poterci tenere i coccodrilli come insegnano le favole.
Deve essere questa nuova versione della modernità, meno ponti più muri, che a quanto risulta ha convinto, la fonte è piuttosto affidabile, l’amministrazione torinese a valutare una cancellata a chiusura del Parco del Valentino. Si tratterebbe di una cancellata in ferro, alta oltre i 3 metri lungo il perimetro del più antico parco della Città di Torino che si estende su una superficie di circa 421.00 metri quadrati.
Ovviamente l’intento è dettato dalle migliori intenzioni. Intanto preservare il verde, le alberature, i fiori, le sponde del fiume dall’infausta e persino incomprensibile assidua presenza di persone di ogni età che, con protervia, insistono nell’occupare con la loro presenza un bene pubblico così prezioso.
I lavori di recinzione, insieme alla chiusura degli obsoleti circoli di canottaggio, dovrebbero iniziare già ad inizio giugno e terminare per la metà di settembre.
Il dibattito, nella sua fase più accesa, si è concentrato sul quanto dovesse essere fitta la cancellatura. Ossia se fosse opportuno consentire o meno ai cittadini di poter, attraverso il fitto delle inferiate, elegantemente zincate e verniciate, poter guardare il parco. Una soluzione di generosa democrazia ha optato, almeno per una prima fase sperimentale, di concedere la vista del Parco.
Il progetto è un pilota che se darà gli effetti desiderati, verrà esteso a tutti le aree verdi della città. Vietare l’uso improprio dei parchi consentirà di rimettere le periferie, colpevolmente abbandonate dai cittadini afflitti da un gusto deviato e passatista per il centro storico, a capo dell’interesse collettivo come luoghi ambiti e d’elezione.
Le passeggiate in Corso Vercelli, in Corso Giulio Cesare, come le delizie di piazze fortunatamente non più auliche ma inclusive, come Baldissera e Foroni, saranno i nuovi ristori e punti di aggregazione sociale.
Qui, camminando a fianco di timide erbacce e gradevoli ciclabili che stingono sul selciato, ci si potrà rilasssare e ritrovare quella spinta alla contemplazione, al mistero, allo spirituale che ha destato l’architettura dei palazzoni prefabbricati in cemento armato che ritemprano i pensieri e, con dolcezza li guidano verso orizzonti dove la fantasia non trova casa e lo street food di pesce del primo fiorile, è l’hype tanto desiderato.
Pier Sorel