La solitudine di un tableau vivant
Quando hanno spento le luci e consegnato le chiavi è rimasta immobile e muta esattamente dove era posta: davanti alla porta dell’ingresso. Altissima, vivida, ebbra e invitante nel gioco di meta messaggi in simbiosi tra cibo, arte, rappresentazione di entrambe e performance congelata. Così giace, eretta, dal 2020 in penombra, la grande opera di Vanessa Beecroft.
Il giorno, infausto, in cui il ristorante stellato Combal Zero ha chiuso i battenti, ha lasciato come ammonimento, una grande fotografia dell’artista in cui, ad una tavola vetrata lunghissima, modelle seminude sedevano, una di fronte all’altra, per un banchetto di cibi color porpora.
Il Combal Zero è stato qualcosa di più di un ristorante stellato. La sua struttura a teca, uno shuttle per guardare la terra da terra, il connubio con il Castello di Rivoli, arte e cucina contemporanea, la sensazione costante, varcata la soglia, di appartenere agli happy few.
Per il tocco magico dello chef Scabin, per la presenza di opere d’arte importanti alle pareti, l’atmosfera rarefatta, l’irradiazione di ciò che colma l’effimero di senso estetico e il piacere segreto dell’inattingibile.
Quel luogo ora è deserto, svuotato d’arredi, buio. Di giorno passeggiandogli a fianco lo sguardo lo trapassa. Le alte pareti vetrate su entrambi i lati conservano uno scrigno vuoto così maledettamente simile all’intimo sconforto generale.
Quasi tutti i lavori della Beecroft sono nati site specific, ossia pensati per quel particolare posto, per cui ogni performance non è mai uguale all’altra. Unico denominatore comune è il titolo sempre composto dalle sue iniziali, VB e, dal numero progressivo del lavoro. Tra le sue azioni performative più note vi è;VB52 02 NT, 2003-2004 organizzata a Torino (32 commensali attorno a un tavolo tra modelle e signore della Torino bene), da cui l’immagine.
Evitando le più corrive percezioni del decadimento di una città, un tempo, tempio dell’arte contemporanea e di altri smalti che aggiogavano e facevano sentire un’energia sotterranea correre sotto le apparenze, regalando mondanità e mercato, l’oggi si specchia crudelmente, in quest’opera abbandonata, malgrado abbia un indubbio valore economico.
La stesso vuoto d’assennatezza che ha permesso che un ristorante di quel tipo potesse spegnere il suo saper guadare e tracciare in tralice un orientamento estetico, un gusto.
C’è il dovere, dopo quello che si è vissuto, l’assoluto dovere di riportare al vivo un orizzonte di felicità; un tempo che sappia essere nuovamente libero, vitale, esuberante, rischioso. Tutto ciò passa attraverso il lavoro, l’arte, la musica, il teatro, tocca le cucine, sceglie gli arredamenti, colora e foggia i vestiti, il contenuto e la grafica della comunicazione, segna a solco un’epoca. Le imprime uno stile.
Per questo è ora che si riaprano molte porte e si riaccendano le luci. Celermente. Il tempo stringe.