Inaugurazione della Galleria Archeologica, una nuova sezione dedicata al nucleo più antico delle collezioni d’arte e archeologia.
Dal 19 febbraio i Musei Reali di Torino offrono al pubblico un itinerario di visita ancora più ricco e coinvolgente dal titolo “Un volto, tanti volti”.
Palazzo Reale, nella sabaudità del suo mattone, occupa l’intero lato di Piazza Castello, giacendo immobile come un pachiderma addormentato sotto un sole caldo che, a febbraio, non sembra trovare spiegazioni. Allunga i suoi tentacoli da una parte fino alla chiesa di San Lorenzo, raro gioiello torinese a pianta centrale, dall’altro si tinge di drammi, melodie e virtuosismi canori sfiorando il Teatro Regio. La cancellata in ferro, protetta dai Dioscuri sembra volerlo separare dall’altro castello, quello di Madama Reale, mantenendo la giusta distanza, tipicamente piemontese, dagli intrighi di corte, dagli amanti e dall’esoteria delle grotte alchemiche.
Attraverso il cortile. L’atrio sembra accogliere il visitatore con quei pochi essenziali cartelli che evitano di perdersi; più avanti si affacciano i giardini, curati e affollati di un’umanità che ha deciso di sfruttare il raro sole e trascorrere il pomeriggio sotto la cappa della storia. La fontana centrale rappresenta una tentazione a compiere il numero giusto di giri intorno ad essa per scoprire se davvero si apre il misterioso passaggio che la collega a Palazzo Madama. Sembrerebbe di no. La si aggira puntando alla nuova ala del museo archeologico: stupenda, rinfrescata da quell’intonaco giallino tipico del barocco piemontese e che solo qui si può trovare.
L’ingresso al museo procura un effetto strano, coinvolgente, di contemporaneità affatto disgregata dal paludamento savoiardo di marmi, pietre e soffitti a volta altissimi. Lasciando a sinistra la scalinata si entra in un corridoio che avvolge nella sua lontananza dalla maestosità, e trasporta in un intimità studiata e calda, fatta da toni grigi e luci modulate apposta per porre il turista di fronte a una raccolta, compiacente ed ospitale atmosfera di concentrato interesse.
La collezione di reperti è, in sé, esagerata, ma, ancora una volta, la sobrietà e l’atteggiamento sabaudo di muoversi in punta di piedi, senza disturbare, la spalmano in un percorso quasi obbligatorio, non invasivo.
Eppure si avrebbe ben d’onde nell’essere orgogliosi del valore della mostra: Casa Savoia, ancora una volta, riesce a stupire, senza fronzoli altoturriti, guglie e pinnacoli, ma mediante un’esposizione che raccoglie testimonianze dall’antichità all’Egitto, alla Grecia agli Etruschi, custodendo gioielli di rara bellezza e pregio, dai busti degli imperatori alle tavolette iscritte con caratteri cuneiformi.
Pur nell’immensità dei pezzi raccolti è impossibile perdersi. Il percorso è ben studiato e l’esposizione stessa evita il ripetersi di reperti sempre uguali, riservando sorprese ogni volta che lo sguardo cambia direzione.
Il calore dei pannelli, studiati con sfumature di grigio particolari, l’intensità delle luci che non appiattiscono il soggetto, anzi lo esaltano, senza infastidire la vista, il suono di sottofondo che accompagna lungo il viaggio, obbliga ad un incontro sinestetico con sè stessi, assaporando luci, colori e suoni senza lasciare in bocca la tipica sensazione polverosa ed acre dei secoli di storia.
L’ambiente è stato creato dallo Studio GTRF- Tortelli Frassoni Architetti Associati, non nuovi in Italia alla progettazione ed allestimento di numerose realtà museali e non solo.
Giovanni Tortelli e Roberto Frassoni, si legge nella presentazione del loro studio milanese, “partecipano al dibattito sul ruolo dell’architettura contemporanea attraverso gli impegni didattici universitari (a Milano e a Genova) e la ricerca progettuale, a varie scale, applicata principalmente in ambiti storici e monumentali. Emblematici del percorso professionale sono i progetti e la Direzione dei Lavori del restauro di edifici di particolare pregio storico architettonico ed artistico quali la Loggia dei Mercanti a Genova, Il Piccolo Miglio del Castello, la Chiesa della Carità, il Palazzo Colleoni e il Palazzo Borgondio a Brescia, la Pieve ed il Duomo a Montichiari, il Broletto di Novara, le Aule Teodoriane di Aquileia.”
Giovanni Tortelli ha dichiarato:
“Per ogni progetto che affrontiamo, cerchiamo impadronirci della conoscenza delle opere e dei reperti, della loro valenza storica, archeologica o artistica per riuscire a trasmetterla al pubblico. Il progetto di allestimento museografico consiste proprio in un’azione di sintesi e di traduzione del sapere degli studiosi riguardo a reperti archeologici o a opere d’arte. E’ il primo strumento che viene offerto al pubblico per capirne l’importanza.
L’architetto museografo deve diventare un po’ archeologo e un po’ storico dell’arte. Il ruolo dell’allestimento è innanzitutto quello di mettere ordine, guidare e orientare il visitatore. Certamente poi è importante il modo con il quale si propone e si espone un’opera. Entra quindi in gioco un tema di linguaggio architettonico e museografico, di “stile”, che pur senza imporsi, o porsi come protagonista agli occhi del pubblico, diventa fondamentale per il buon esito di un museo.
Sono importanti anche i materiali impiegati. Nel nostro caso l’acciaio verniciato a polveri epossidiche e l’acciaio nero, (…) si pongono come materiali poveri, elementari, di paragone con le preziose ceramiche e gli straordinari marmi romani ed ellenistici. Anche il colore è attentamente studiato perché funga da sfondo efficace alle opere o agli apparati grafici, che vanno studiati, composti e posizionati in modo molto attento. Il ritmo, le proporzioni e il design, in parte frutto di affinamenti dovuti all’esperienza, sono declinati in modo da instaurare un rapporto di coerenza e di armonizzazione con gli ambienti, cercando la massima relazione possibile tra opere, reperti e spazio architettonico.”
Che i Savoia fossero collezionisti ossessivi – compulsivi lo si sapeva, (si veda l’ultimo piano di Palazzo Madama e l’immensa collezione di ceramiche), ma che alcune collezioni potessero annoverare anche un valore inestimabile si poteva solo sospettare.
La manica nuova di Palazzo Reale ospita infatti oltre mille opere, frutto della ricerca di studiosi, esploratori, imprenditori, archeologi più o meno professionisti che la casa reale sabauda ha inseguito, vezzeggiato o direttamente finanziato, stipando, in quattrocento anni di storia dalla nascita dei Musei Reali, testimonianze storiche di rara importanza.
Così l’atrio monumentale della manica nuova, si trasforma in uno snodo all’interno dei percorsi di visita museali, dove le due maggiori collezioni, pittura e antichità si trovano in un rapporto paritetico e dialogante già a partire dalla dislocazione degli spazi espositivi dedicati.
L’importanza della sezione archeologica e della riorganizzazione dei percorsi di visita ce la spiega Enrica Pagella, Direttrice dei Musei Reali:
“Con la nascita dei Musei Reali nel 2016, la prima Reggia d’Italia ha aperto le sue porte a una eredità culturale che spazia dalla Preistoria alla modernità, con testimonianze che da Torino si affacciano sulla storia di tante altre civiltà dell’Europa e del mondo. Questo nuovo allestimento riporta alla luce opere di inestimabile bellezza e valore storico. Oggi queste raccolte sono uno straordinario strumento di dialogo e di confronto tra le culture passate e presenti, un’eredità lasciata nelle nostre mani per costruire un migliore futuro per le nuove generazioni.
Il nuovo allestimento rappresenta solo l’inizio di un importante ripensamento di un percorso che vuole essere sempre più omogeneo e capace di raccontare, in un’unica narrazione, tutte le diverse anime dei Musei Reali.”
Superata la porta a vetri si è catturati dal lungo corridoio che conduce al fondo della manica nuova. È la Galleria delle sculture. Impossibile non lasciarsi ammaliare dal gioco prospettico quasi leonardesco che sembra voler sottolineare le vie di fuga partendo dal visitatore come fulcro dell’intero quadro. Paradossalmente invece si lascia la possibilità di cambiare prospettiva, restando immobili e puntando alla fine del corridoio, dove la Rotonda degli Imperatori diventa il fulcro lungo il quale si proiettano tutte le sculture della galleria, andando ad investire in pieno chi ancora si trova sulla soglia.
La galleria evoca il corridoio di un palazzo che a destra e a sinistra si apre nelle varie sale, dieci in totale, divise per periodo storico, in cinque sezioni.
La prima sala a sinistra impone già una fermata obbligatoria, richiesta dal grande schermo verticale che propone una presentazione, o un riassunto, dell’intera mostra. Le immagini scorrono su scritte che ricapitolano intenzioni e contenuti: “Meraviglie dell’antichità, una storia di persone, la collezione dei Duchi, la fondazione del museo, i grandi dell’archeologia, alla scoperta del mondo, una conoscenza ora accessibile.” Conclude con le necessarie note tecniche, autoincensanti ma doverose “più di 1000 oggetti esposti, oltre 3000 schede tecniche”.
La prima sezione sulla storia del collezionismo antiquario è dedicata al nucleo primigenio delle collezioni sabaude, frutto di abili acquisizioni sul mercato di Roma e Venezia per volontà del duca Emanuele Filiberto dalla fine del Cinquecento, poi fortemente incrementante dal figlio Carlo Emanuele I. Tornando al corridoio centrale si è avvolti nella parata delle statue greche e romane, dei rilievi scolpiti e dei busti marmorei. Fondamentali nella storiografia e nei metodi di propaganda i cosiddetti “ritratti” e le riproduzioni romane di più antichi e celebri gruppi statuari.
Altra sezione, quella dedicata al Vicino Oriente Antico, forte di centinaia di testi cuneiformi e sigilli a cilindro assiri, giunti al Museo nel 1847 e stimati come la raccolta più ricca in Italia. Antichità dall’isola di Cipro, è la tappa successiva. La mostra permanente, articolata, tra l’altro sulle memorie del Mediterraneo, raccoglie, nella sezione dedicata a Cipro il maggior numero di reperti dell’intera collezione. L’isola, naturale crocevia commerciale nel mediterraneo, al centro tra le civiltà occidentali, asiatiche, mediorientali e africane, è descritta nell’arco complesso e millenario della propria testimonianza storica e culturale a partire dall’antica Età del bronzo (III millennio a.C.) alla tarda antichità (IV-V secolo d.C.), in un arco cronologico che si affaccia sulle successive civiltà, più mature e più ricche di lasciti. Come la precedente, la stanza è divisa in due ambienti, si ricollega alla galleria centrale e si rifà ai fasti della civiltà romana. Spicca, da terra al soffitto, il calendario romano dei Fasti Praenestini, in realtà un calco ottocentesco, qui esposto per la prima volta.
Usciti dalla stanza si osserva a ritroso la galleria delle sculture che, da questa angolazione, e forti delle reminiscenze romane appena provate, appare più come un decumano da attraversare, pronti per affrontare l’insula di fronte e tornare indietro.
La sala è dedicata alla civiltà dell’Egitto in età ellenistica, e si snoda passando al mondo Fenicio e Punico che espone la testa della celebre regina Cleopatra VII, poi a quello Greco ed Etrusco. Le ceramiche elleniche e italiote (circa 400 pezzi) acquistate tra il 1827 e il 1828 da Carlo Felice si affacciano su parallelepipedi bianchi, di diverse altezze che sembrano sovrastare il visitatore, ma ne raccolgono lo stupore, offrendosi ad una vista non convenzionale e capace di risaltare i particolari delle figure dipinte: rosse su sfondo nero o nere su sfondo rosso, a seconda del periodo.
Un secondo ambiente, attiguo e prossimo all’uscita, sfoggia una meravigliosa sequenza di ritrovamenti etruschi, composta da vasellame in ceramica, bucchero, bronzi, urne cinerarie, sarcofagi e vasellame reperito nelle famose tombe ipogee.
L’ufficio stampa dei Musei Reali, ha voluto sottolineare l’importanza di alcuni reperti presenti nella collezione:
“Tra gli oggetti iconici selezionati dai curatori sono presentati il ritratto scultoreo di Cesare, ritenuto dagli esperti uno dei più rassomiglianti al condottiero; il rilievo assiro del re Sargon II, una delle più raffinate rappresentazioni del sovrano neo assiro risalente al 717-707 a.C.; il grande sarcofago etrusco datato al 280-270 a.C. della Matausna, donna appartenente alla famiglia omonima di cui si possono ricostruire parentele e nomi; il mosaico del cantore Orfeo che ammansisce le belve, ritrovato a Cagliari e giunto al Museo di Antichità già nel Settecento; il misterioso busto di Iside “cabalistica”, scolpito nella seconda metà del XVI secolo; un’eccezionale iscrizione in bronzo trilingue (punico, greco, latino) proveniente dalla Sardegna romana.”
Filippo Masino, curatore architetto, responsabile del progetto ed Elisa Panero, curatore archeologo, che ha firmato il progetto scientifico, spiegano:
“Esattamente 450 anni dopo i primi acquisti operati dai Savoia, nasce un percorso dedicato ai nuclei più importanti del Museo di Antichità. Questo nuovo allestimento offre al pubblico un’inedita e aggiornata lettura delle Collezioni Archeologiche del Mediterraneo, attraverso una presentazione espositiva nuova e suggestiva di circa un migliaio di opere antiche, molte delle quali escono per la prima volta dai depositi del Museo di Antichità per offrirsi, dopo accurati restauri, allo sguardo del visitatore. La Galleria di antichità si presenta oggi come un affascinante viaggio tra antiche civiltà, intorno alle radici comuni delle nostre identità culturali”.
Il pregio dell’esposizione è indubbiamente quello, tra gli altri, di aver riesumato casse e casse di reperti custoditi nelle ammuffite cantine di Palazzo Reale; la catalogazione ed il restauro sono solo stati, nelle fasi successive, le operazioni necessarie al recupero delle opere. Ma è indubbio che il lavoro finale, quello più evidente, dell’esposizione al pubblico, ha comportato ore di ricerca, comparazione, compilazioni di schede, senza le quali anche il pubblico più esperto sarebbe rimasto spiazzato.
Il risultato è stato eccellente; pensato e realizzato in modo innovativo, ha reso i contenuti accessibili ad un pubblico vasto ed esteso indipendentemente dal substrato culturale di provenienza. Le didascalie sono precise e comprensibili; i pannelli storici chiari, le descrizioni supplementari, invitano ad essere lette, allargando la vita del reperto ad una visione più ampia come poteva essere quella del collezionista o dello scopritore. I pannelli informativi sono inoltre corredati di contenuti tattili e audiodescrizioni accessibili mediante scansione del QRcode.
Va poi sottolineata la piacevole ed inusitata iniziativa dedicata ai più giovani. Parallelamente allo svolgimento della mostra si affianca la galleria Junior, dedicata ai bambini in età scolare, che stimola, attraverso giochi e indovinelli, la curiosità verso la storia, talvolta confrontandola con il presente.
La collezione è appagante al punto di donare la sensazione di avervi quasi preso parte. La realizzazione cattura ed accompagna per mano dall’inizio alla fine, senza annoiare, senza strafare; accoglie ed istruisce con un atteggiamento di modestia e competenza tipica degli studiosi pedemontani. Sentirsi ospiti nella corte di una grande casata è una sensazione che affina l’orgoglio, ma concedersi la presunzione di essere gli ospiti d’onore, è ancora più stimolante.
La rarità, la qualità e anche la quantità dei pezzi esposti oltre alla malizia nella creazione del percorso espositivo evitano di soccombere ad un senso di oppressione tipico delle esposizioni pedanti che sanno un po’ troppo di polvere da scaffale. Acciai e vetri mettono da parte la gravosità museale mentre al tempo stesso, la scelta delle opere da parte dei curatori va a creare un percorso piacevole, mai stucchevole, che lascia appagati e soddisfatti.
Unica nota di perplessità scaturisce dall’esposizione di alcuni manufatti, forse un po’ troppo accessibili al pubblico: privi di protezioni che impediscano ai più distratti di entrarvi a contatto o, ai più malintenzionati, di deturparli. Va detto che la discreta presenza del personale e delle telecamere funge sicuramente da deterrente, nell’augurio che secoli di civiltà così magistralmente esposti dai Musei Reali, possano sortire l’effetto bramato da Vico di renderci nani sulle spalle dei giganti, sfruttando al meglio il passato, per educare al presente.
Alberto Busca