Gli NFT! Nessuno può più farne a meno: non i collezionisti, non gli artisti, non i galleristi, figuriamoci le case d’asta. Tutti a rincorrere un fenomeno che unisce due fascinazioni, quella per la tecnologia e quella per il facile guadagno.
Il facile guadagno, si sà, attira quanto il miele fa con le mosche e, dunque, lasciamo questo tema alla fine.
Veniamo al primo punto: la novità tecnologica. Si ritiene che gli NFT rappresentino qualcosa di inedito e di rivoluzionario, una sorta di rottura. In realtà non è esattamente così: l’arte digitale esiste da quando esiste il mondo del digitale e quindi da alcuni decenni. Uno dei suoi elementi di forza sta (stava?) nell’essere libera, democratica, gratuita e fruibile da tutti. L’NFT sembra dunque negarla, altro che amplificarla o innovarla. Essendo esso la codificazione del diritto esclusivo di proprietà su un prodotto artistico e tecnologico al contempo, finisce per negare l’essenza stessa dell’arte digitale, trasformandola in un semplice file da scambiare, da comprare, vendere e rivendere.
Altro punto è quello che riguarda il facile guadagno che si immagina di poter ricavare dal commercio degli NFT, cosa che, effettivamente, è avvenuta in diversi e noti casi. Ciò che, infatti, pare prevalere nel mercato degli NFT non è il valore in sé dell’opera che viene commercializzata, ma il fatto che essa venga scambiata utilizzando una cryptovaluta, ossia una valuta informale che non è emessa da nessuna banca centrale e non è difesa da nessuno sul mercato e, dunque, è costantemente esposta a oscillazioni. Vi sono artisti che vendono le proprie opere nelle aste ufficiali a poche centinaia o migliaia di euro e che si sono trovati a ottenere, dalla vendita di NFT, somme almeno a cinque cifre. Questa pare la dimostrazione che l’arte in sé c’entra poco e molto di più influisce il commercio di valuta: come si spiega che l’opera originale, realizzata dall’artista con le sue mani, valga cinquanta o cento volte meno del file che la rappresenta?
Dunque, prima di gridare alla novità bisogna sempre stare attenti ad aver almeno dato un’occhiata a ciò che è avvenuto nel passato e se poi le ragioni sono altre, ossia il denaro principalmente, diciamocelo, senza fare voli pindarici: in fondo non c’è nulla di male.
Gli NFT possono avere un senso soltanto se gli artisti che li realizzano ritengono che quello sia l’unico metodo espressivo col quale tradurre in un’immagine ciò che vogliono dire, e anche il fatto che quella immagine sia destinata alla privatizzazione (al suo possesso esclusivo) deve essere motivato in chiave poetica. Insomma, farsi trasformare da qualcuno un quadro o una scultura in NFT non è una grande trovata.
L’ultima considerazione, quella più semplice, è la seguente: per “godere” della vista dei propri NFT bisogna appendere uno schermo alla parete, proprio come se fosse un quadro… Ecco: alla fine i quadri vincono sempre.
Marco Albeltaro (collezionista e gallerista)