Alcune note sugli NFT (verso lo sboom?)
In merito all’articolo scritto da Marco Albertaro in data 25.5.2022 su questa testata giornalistica dal titolo “ Si può fare a meno degli NFT? Vita avventurosa del gettone non fungibile”, mi vien fatto di osservare che vi è, in generale, una certa propensione a identificare gli NFT con l’arte digitale (cosa in parte vera), laddove, peraltro (limitandoci qui al mondo della creazione artistica), molti NFT rappresentano opere d’arte fisiche, non solo digitali e vi sono ad esempio artisti come Damian Hirst che danno la possibilità quando si acquista una loro opera NFT di scegliere se averla in versione materiale o digitale.
Che la motivazione principale che ha generato questa recente superfetazione di NFT sia ascrivibile principalmente allo slancio verso il profitto, mi pare innegabile. Come Pavese ricordava, ‘Lavorare stanca’ e cercare di massimizzare il frutto del proprio lavoro di per sé non è sbagliato. Sbagliata mi sembra invece la convinzione di molti artisti che per il sol fatto di avere collegato una propria opera ad un NFT, si aprano magicamente orizzonti di insperato guadagno.
La nota operazione fatta da Beeple nel 2021, che gli ha permesso di mettersi in tasca in un battibaleno una cifra di oltre USdlrs. 69 milioni , ai miei occhi non appare come una vicenda frutto di una fortunosa mano di poker o l’acquisto di un biglietto della lotteria baciato dalla sorte: è stata un’operazione accuratamente studiata da esperti informatici e conoscitori del mercato (dell’arte e finanziario) che hanno lanciato al momento giusto una certa iniziativa che ha trovato le giuste controparti.
Di lì si è aperto quel mondo di cui stiamo parlando, che ha spinto gli artisti a trovare nuovi sbocchi alle loro opere ed informatici ed investitori a cercare di replicare quel primo memorabile successo dando luogo a portali di art advisory che intendono accaparrarsi quante più opere possono (di musei, collezionisti, artisti, fondazioni, ecc.) per trasformarle in NFT e renderle disponibili sul mercato. I soggetti che hanno investito risorse in questo settore, a parte un paio di titolatissime case d’aste internazionali che hanno praticamente monopolizzato questa nicchia di mercato, sono in prevalenza gracili start-up.
Mette anche conto riportare che il Vaticano entro il 2022 ha in animo di aprire una sua galleria di NFT per rendere accessibile a tutti la propria collezione d’arte e manoscritti senza alcuna contropartita economica.
E quindi l’assioma, NFT uguale locupletazione (almeno in potenza), non sembra, almeno grazie a quest’ultima istanza nota, avere valore assoluto.
Ricordo che sino a qualche anno fa il mercato dell’arte era inondato da video. Video art sembrava la nuova frontiera dell’arte ed il medium attraverso il quale ogni artista doveva esprimersi e cimentarsi. Oggi andando alle varie fiere artistiche i video proposti sono pochissimi e si stenta a trovarli (a parte quelli storici di Bill Viola ed altri). Segno che la video arte è tornata in possesso di quegli artisti che ad essa si sentono vocati e che tale è il loro strumento per fare vivere le loro creazioni artistiche.
E, tornando agli NFT, sono pienamente d’accordo con Marco Albertaro quando afferma che “gli NFT possono avere un senso soltanto se gli artisti che li realizzano ritengono che quello sia l’unico metodo espressivo col quale tradurre in un’immagine ciò che vogliono dire”.
Quale dunque il senso ed il futuro degli NFT? Prescindendo dal fatto che si parla già di bolla NFT (che va rapidamente sgonfiandosi), cosa poco promettente, mettendomi poi nei panni di un collezionista, di un soggetto cioè che ha una spiccata libidine di possesso, che senso ha acquisire un’opera (o meglio il titolo di un’opera) che non è immediatamente fruibile? Se oltre che collezionista è anche un investitore, può gioire o soffrire vedendo, nel tempo, il relativo valore crescere o diminuire, come il valore di un qualsivoglia estratto di conto corrente o di deposito titoli e anche questa può essere una ragione per collegarsi ad un’opera d’arte (e qui i valori intriseci dell’arte c’entrano poco o nulla).
Diverso il discorso se, nel campo artistico, gli NFT diventassero uno strumento per identificare un determinato bene od un’opera, non fine a se stesso, ma in funzione di pratiche applicazioni. Potrebbero facilitare di molto la costruzione e gestione di archivi di pittori, incisori, fotografi e contribuire non poco al lavoro di conservatori di musei, biblioteconomi, ecc. Si porrebbe in sostanza la parola fine alle diatribe su quanti esemplari esistano di una sola immagine o quante stampe di una stessa opera o multipli di un oggetto di design o di un video, ecc. Pensare in sostanza ad un grande ‘catasto’ dei beni artistici e culturali che dia certezza ai fruitori ed al mercato. E similmente le gallerie d’arte e le case d’asta potrebbero gestire e dare sicurezza alla compravendita delle opere, materiali o virtuali, note e già ‘accatastate’ con gli NFT, come già accade per il mercato immobiliare che vede un determinato cespite identificato da una serie di numeri che il pubblico ufficiale (notaio od altro) provvede poi a far registrare negli archivi deputati a fronte di una transazione commerciale.
Se poi riconduciamo gli NFT alla loro naturale filiera, che origina a monte dalla blockchain, verrebbe fatto di chiedersi nelle presenti circostanze geopolitiche, economiche e sociali, che vedono un mondo che si va allontanando dalla globalizzazione, che va verso la conflittualità di blocchi contrapposti, che determina scarsità, con conseguente accaparramento, di risorse energetiche, minerali, alimentari (senza menzionare l’orribile violenza verso cui sta scivolando), quale futuro possano avere.
La tecnologia blockchain è altamente energivora e molti paesi che inizialmente incoraggiavano al loro interno lo svolgimento dell’attività di validazione dei blocchi e transazioni ad essa connessa hanno cambiato opinione, non solo per ragioni economiche, visti gli alti costi di esercizio (ed ora anche di reperimento dell’energia), ma anche politiche, dovute alla principale applicazione della blockchain che sono le cosiddette criptovalute (che, a differenza degli NFT, che hanno carattere di unicità, sono pienamente fungibili e quindi spendibili), ma quest’ultima è una questione che esula dal presente discorso.
A mio modesto parere, nell’attuale congerie internazionale, gli NFT hanno espresso il loro potenziale e mostrato più di un settore in cui potrebbero essere utilmente applicati. A meno di inaspettati grandi balzi in avanti, verranno parcheggiati in qualche tranquilla area tecnologica, per poi magari essere rispolverati ed utilmente impiegati tra qualche anno, similmente a quanto accaduto ad Arpanet, che, messa insieme nel 1969 e poi dimenticata, ha avuto una felice e travolgente applicazione decenni dopo venendo proposta, col mutamento dei presupposti iniziali, come Internet con i risultati che tutti conosciamo.
Roberto Perugini