E’ ancora fresca come pittura la sensazione d’euforia e coriandoli della settimana dedicata all’arte contemporanea della città. Ha riabilitato il piacere mondano di vedere e farsi vedere tra fiere, gallerie, vernici e party esclusivi da cui si è appunto, quasi sempre esclusi.
Nemmeno il tempo di prendere il fiato, di sgranchirsi lo sguardo, che ci si prepara per una nuova e altrettanto internazionale battuta d’inizio. La pallina gialla del tennis delle ATP Finals è ferma in stallo nell’aria e aspetta il giorno d’inizio, fissato per il 14 novembre, per volare al di là della rete e far ripartire la giostra.
Le giornate dell’arte hanno portato una scossa di allegria, entusiasmo e audacia che la città agognava da tempo. L’occasione per uscire, per accogliere turisti e amici, per spingere in cima alle cronache questa piccola metropoli che merita tutta la considerazione possibile e che per qualche giorno ha staccato Milano con sottile e silenziosa gioia. Questo tourbillon di eventi, temporalmente incasellati, da far invidia a Breguet è il frutto di un lungo e meticoloso lavoro costruito su uno dei più improbabili e indecifrabili asset. L’arte.
Improbabile qui, per una radice e una storia culturale prettamente pratica, ingegneristica, metodica e pragmatica che fortunatamente vige ancora. Le opere d’arte contemporanea rappresentano il contraltare perfetto al sistema di costruzione industriale che ha per decenni caratterizzato la città. Arrivati, non senza fatica, alla guglia dell’attenzione dei media occorre non ricadere adesso nella condanna di Sisifo. La grande fatica collettiva di dare identità e valore alla città si scontra spesso con il dover ricominciare da zero, e ritrovarsi a spingere l’enorme pietra fino alla cima. Tesaurizzare, conservare e mettere a resa i buoni risultati raggiunti appare più difficile da noi che fare le cose ex novo.
Ci si dimentica che l’argenteria affinché continui a brillare va lucidata con frequenza. L’ossidazione e la conseguente patina di opacità sono rapidissime ad avvolgere anche il gioiello più prezioso.
Lo scrigno vetrato dell’Oval ha ospitato per qualche giorno quel gioiello di Artissima, che con oltre 33 mila visitatori, 174 gallerie da 28 paesi e 10 premi si conferma una delle più autorevoli e importanti fiere d’Europa. Le fanno eco e concorrenza buona l’elegante Flasback con un progetto davvero innovativo, la giovanile The Others, l’impegno di Apart, il libera tutti, nel bene e con tanto male di Paratissima e la presenza di moltissime altre iniziative di carattere privato.
A sostenere il tutto le mostre dedicate al contemporaneo che hanno aperto congiuntamente tra gallerie private e Musei o istituzioni che resteranno visibili per un maggior periodo. Se la Fondazione Sandretto not to miss a trick, le Ogr abbagliano con un video spettacolare, la Fondazione Merz ulula in formato gigante, persino il Castello di Rivoli pare essere finalmente resuscitato grazie alle opere di Olafur Eliasson.
L’art week è stata una grande, vera festa mobile, distesa sotto le luci d’artista. Che fa stare dentro gli eventi, dileguarsi nelle vedute e infonde la sensazione che ci sia qualcosa di importante che sta lì e noi non sappiamo raggiungere.
Le luci, in ogni caso andrebbero ripensate dopo 25 anni di onesta attività. Magari dislocate altrove, ricollocate in altre parti di città per rinnovarsi e concedere nuova luce a quartieri che invece subiranno il tipico kitsch grossolano da luminaria natalizia.
Il centro cittadino che ha sopportato stoicamente il dolciastro dozzinale di Cioccolatò e le sue tende beduine non necessità un di più di orpelli, sarebbero sufficienti attenzione, la pulizia e una cura costante. Il parco Dora così perfetto per Terra Madre sarebbe stato in perfetta linea di continuità per il cioccolato.
Adesso c’è da tenere accesa la stessa luce, tensione ed energia sui problemi di sempre. E chissà che anche in questo caso l’arte e chi la produce non possa essere parte delle possibili soluzioni all’opacità che sempre incombe. Opacità che si ritrova nelle decisioni, negli impegni, negli interventi per problemi detti periferici che così spesso riguardano le periferie.
Altrettanto opaca è la sorte di Contemporary Art, la piattaforma, un tempo anche cartacea ora solo digitale che raccoglie informazioni sulle manifestazioni artistiche e che le teneva sotto la sua coperta offrendogli il proprio marchio come garanzia e opportunità di comunicazione. Resterà ? Verrà chiusa ? Cadrà nell’oblio? insieme alle molte cose buone che si dimenticano per lucida sbadatezza assessorile.
Pare che nessuno ne sappia niente e tanto meno si pronunci a riguardo.