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Stare davanti a Dio per stare meglio davanti agli uomini. Ė questo lo spirito che anima l’Eremo del Silenzio, un’oasi di preghiera e meditazione creata a Torino in un luogo inaspettato: l’ex carcere ‘Le Nuove’, in via Paolo Borsellino 3.
La sede dell’eremo è l’ala del penitenziario che ospitava le terroriste detenute durante gli ‘anni di piombo’ (’70-’80), nel corso dei quali si tenne a Torino il processo alle Brigate Rosse. E’ un edificio rettangolare, dall’intonaco sbiadito, e si trova al centro di un piccolo giardino. E’ questa striscia di verde che  lo separa dalla struttura principale delle Nuove, che oggi ospita il Museo del carcere.
L’idea di riqualificare e riutilizzare quest’area è di Juri Nervo, direttore dell’associazione ‘Educamente’ (www.educamente.org), educatore con alle spalle una lunga esperienza nel mondo del volontariato giovanile di ispirazione cattolica.
Juri ha studiato teologia all’università, ma non si è laureato perché, come dice lui stesso “ha trovato più risposte altrove”.
Juri ha cominciato a rendersi utile agli altri molto presto: un parente stretto tetraplegico ha sviluppato in lui la vocazione a superare i limiti dell’emarginazione e del disagio sociale. La prima esperienza importante è stata nel carcere minorile di Torino, dove lavorava come dipendente di un’associazione. Un impatto straniante, che descrive così:
«La prima volta non volevo lavorare in carcere a contatto con quei ragazzi ‘difficili’. Poi, superato il primo impatto, ho capito l’importanza di questa esperienza. Lì dietro le sbarre sei costretto a toglierti la maschera, i rapporti sono più diretti. Ho iniziato a sviluppare anche un percorso educativo sul mondo delle carceri e l’ho portato nelle scuole, per far conoscere ai ragazzi questa realtà».
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E’ così che è approdato all’ex carcere delle Nuove?
«Sì, sono diventato volontario del museo, e mi sono accorto che c’era la vecchia sezione femminile dedicata alle terroriste dismessa. Ho proposto a Felice Tagliente, il direttore del museo, di rimettere in sesto quest’edificio, e lui mi ha dato carta bianca».
Qual è lo scopo di un luogo dedicato al silenzio?
«Offrire uno spazio per riflettere, pregare, e ritrovare la propria dimensione di uomini. Ho preso spunto dalla tradizione francescana, ma lo spirito è laico, aperto alle esigenze di tutti. Nelle vecchie celle delle detenute, rimesse a nuovo, ora ci sono spazi di meditazione. Qui può venire chiunque: un ragazzo in crisi d’identità, un padre separato, una donna depressa o un semplice curioso. Siamo aperti il martedì e il giovedì pomeriggio, l’ingresso è libero».
Come ha sviluppato il progetto dell’Eremo?
«Mi sono ispirato a tre figure: Carlo Carretto [1910-1988, ndr], padre Pierre-Marie Delfieux [1934-2013, ndr] e Catherine de Hueck Doherty [1896-1985, ndr]. Carlo Carretto è stato per anni monaco eremita nel deserto. Al ritorno ha descritto quest’esperienza. Durante un convegno in Giappone gli fu chiesto dai giovani come potessero fare tesoro dei suoi insegnamenti nelle realtà urbane. Allora lui insistette sull’importanza della dimensione interiore di ciascuno. E li spinse a riflettere sul ruolo fondamentale del silenzio nelle loro vite. Un insegnamento subito messo in pratica dal prete Pierre Marie-Delfieux, che ha condiviso con Carretto parte dell’eremitaggio, e ha creato nelle città francesi degli spazi di meditazione. Un altro spunto è stata l’opera di Catherine de Hueck Doherty (http://www.madonnahouse.org/doherty/). A differenza degli altri due non era una religiosa. Era una donna sposata con figli, che ha creato la comunità ‘Apostolato della casa di Maria’. Una realtà particolare…».
Il nostro mondo è molto caotico e rumoroso.  E’ difficile trasmettere l’importanza del silenzio?
«Con l’associazione ‘Educamente’ una realtà di cui faccio parte insieme ad altri educatori, da anni organizzo laboratori sul silenzio dedicati agli studenti delle scuole primarie e secondarie. Abbiamo trovato vari spazi dedicati, come l’eremo. Ė un tema non facile da trasmettere, anche perché le nuove generazioni associano il silenzio ad un’imposizione. Ma con l’approccio giusto si riescono a coinvolgere i ragazzi. Sul lungo periodo ho anche intenzione di insistere sul concetto di diritto al silenzio, un tema estraneo alla  nostra cultura».
Qual é il senso più profondo dell’Eremo?
«L’idea dell’eremo è di trasformare un luogo di reclusione coatta (l’ex carcere) in un luogo di segregazione volontaria, destinata al silenzio e alla riflessione. Con un proposito: non deve essere un’esperienza sterile. Chi viene qui lo deve fare avendo presente qual è il suo punto di partenza, cos’è ciò in cui crede. Per riflettere, dialogare e se lo desidera confrontarsi. Non bisogna dimenticare che anche un eremita deve restituire la sua conoscenza. Ci si allontana dal mondo per ridare senso alla vita, ma dopo è fondamentale condividere con gli altri la propria esperienza. Solo allora un luogo come l’eremo acquisisce il suo significato più profondo».  
(www.eremodelsilenzio.it)
Francesco Riccardini

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